La parola

Dignità

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Didascalia 1:	Il Presidente Napolitano incontra rappresentanti di Associazioni delle persone con disabilità in occasione della La scelta del termine di questa settimana, è bene chiarirlo subito, non nasce da pretese di valutazione o per dare patenti a chicchessia. 

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La scelta del termine di questa settimana, è bene chiarirlo subito, non nasce da pretese di valutazione o per dare patenti a chicchessia. Ma dalla sensazione che il momento che attraversa il Paese sia anche in gran parte frutto di uno scadimento etico e comportamentale che trova nella dignità appunto, un riferimento specifico. L’assenza, la carenza, il travisamento di questo habitus riguardano tutti, il cittadino singolo nel suo quotidiano agire, le strutture intermedie di servizio al cittadino stesso, la mediazione politica, i comportamenti dei responsabili della cosa pubblica, quelli di coloro che anche nel privato “dimenticano” il connotato principale dell’autorevolezza e della referenzialità condivise ed accettate dal sentire civile comune.
Per capire che cosa indica la parola dignità, occorre una prima analisi illuminante. Essa deriva dal latino dignĭtas che ricalca, anche se la radice lessicale appare lontana, il vocabolo greco ἀξίωμα, che aveva entrambi i significati di «dignità» e di «assioma». L’indicazione di un valore strutturale è dunque nell’origine stessa del concetto.
Dignità è dunque, condizione di nobiltà morale in cui l’uomo è posto dal suo grado, dalle sue intrinseche qualità, dalla sua stessa natura di uomo, e insieme il rispetto che per tale condizione gli è dovuto e che egli deve a sé stesso. Indica anche l’aspetto improntato a grave e composta nobiltà di una persona e anche la severità di luoghi.
Con questo termine si intende anche un alto ufficio, civile o ecclesiastico, mentre nel diritto canonico, vuol significare ogni titolo di beneficio ed ufficio che, nei varî gradi della gerarchia ecclesiastica, ha annessa una certa preminenza e giurisdizione.
Sotto il profilo filosofico dignità indica, come abbiamo già indicato un assioma, un postulato di per sé ritenuto non mutabile e dal quale discendono altri valori ed altri enunciati che ad esso si collegano.
Questo il valore della parola, in estrema sintesi. Sotto il profilo della riflessione possiamo porci una domanda: siamo sicuri che tutti noi, individualmente e collettivamente, abbiamo o manteniamo nei nostri comportamenti e nelle nostre scelte la dignità del nostro ruolo, del nostro status? Qualche dubbio è legittimo e ad anche onesto se guardiamo allo stato delle nostre città, al declinare del vivere civile cui assistiamo ogni giorno. Facile certamente attribuire la responsabilità alla politica, al malgoverno e via declinando l’irresponsabilità alla quale ci hanno abituato i sociologismi criminali e d’accatto in voga dagli anni Settanta. Quello che ci accade è dovuto sempre a qualcun altro, è colpa di qualcuno che non siamo noi, è il frutto di macchinazioni e complotti contro il povero e indifeso individuo singolo. Siamo in sostanza intrappolati in una rete che non governiamo e alla quale siamo incapaci di reagire, costretti dunque in un sistema del quale ci si vuole sudditi, ottusi terminali di qualche cosa che sia messaggio, input, per costringerci a qualcosa anche se non vogliamo.
Strano destino quello successivo alla contestazione giovanile di qualche decennio fa, chi l’ha vissuta e soprattutto chi l’ha guidata teoricamente, praticamente, filosoficamente con un imperativo unico: la coscienza di sé, l’autodeterminazione, la capacità di analisi, fa i conti con la sostanziale irrilevanza dell’individuo nella società che dovrebbe essere il suo terreno di coltura, dopo la sconfitta della massificazione inerte e delle collettivizzazioni mentali prima ancora che pratiche. Amaro risultato di chi voleva cambiare il mondo e non è riuscito a cambiare forse neppure se stesso, abbandonando poi la realtà al suo selvaggio dispiegarsi con libertà senza dignità, consapevolezza senza responsabilità e via declinando!
Forse la dignità in ogni campo avrebbe bisogno di coerenza e di assunzione concreta della guida del proprio agire e questo andrebbe insegnato ai giovani come habitus personale e non come gadget eventuale perché tanto poi c’è qualcun altro che risolve o al quale attribuire responsabilità e dal quale pretendere giustificazioni!

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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::282::/cck::

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