::cck::294::/cck::
::introtext::
Traduzione Giuliana Giannessi
San Paolo (Br). Per coloro che non sono cattolici, l’8 dicembre è un giorno qualsiasi del calendario. Ma per coloro che sono fedeli alla “Sancta Romana Ecclesia”, questa data ha un significato speciale, dato che nel calendario liturgico è la festa dell’Immacolata Concezione di Maria.
::/introtext::
::fulltext::
Traduzione Giuliana Giannessi
San Paolo (Br). Per coloro che non sono cattolici, l’8 dicembre è un giorno qualsiasi del calendario. Ma per coloro che sono fedeli alla “Sancta Romana Ecclesia”, questa data ha un significato speciale, dato che nel calendario liturgico è la festa dell’Immacolata Concezione di Maria.
È il dogma proclamato da papa Pio IX l’8 dicembre 1854, che ricorda il concepimento verginale di Gesù nel grembo di sua madre, immortalata nelle pagine del Vangelo nella narrazione della visita dell’angelo Gabriele a Maria di Nazareth, annunciandole: “Non temere, Maria. Sei in grazia di Dio. Concepirai e partorirai un figlio e gli darai il nome di Gesù. Egli sarà grande; sarà chiamato Figlio dell’Altissimo, ed il Signore Dio gli darà il trono di David suo padre. Regnerà per sempre sulla progenie di Giacobbe ed il suo regno non avrà fine”. Dopo un breve momento di stupore, Maria rispose: “Eccomi, la serva del Signore, avvenga in me quello che hai detto.”
Trascorsi più di 2000 anni dal sì di Maria alla vita in gestazione; più di due secoli dalla nascita di un bambino nella grotta di Betlemme, gran parte dell’umanità insiste nel dire no ai bambini, perpetuando uno scenario di guerra, conflitti, odio, pregiudizio, corruzione, criminalità ed ingiustizie sociali che soffocano o addirittura pongono fine alla vita subito dopo la sua nascita.
Lunedì 8 dicembre, 160 anni dopo la Proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione, il Fondo per l’Infanzia delle Nazioni Unite (UNICEF) fa un avvertimento: per milioni di bambini, il 2014 è stato caratterizzato dalla paura, disperazione e orrore, a causa dei conflitti sempre più gravi, durante i quali i bambini sono stati esposti alla violenza estrema e alle sue conseguenze, sono stati reclutati con la forza e usati come bersaglio di gruppi armati. Tuttavia, molte crisi già non richiamano più l’attenzione del mondo, evidenzia l’UNICEF. “Questo è stato un anno devastante per milioni di bambini”, ha detto Anthony Lake, direttore generale dell’UNICEF. “Mai, nella storia recente, un gran numero così elevato di bambini è stato sottoposto a tale indescrivibile brutalità.”
Almeno 15 milioni di bambini sono coinvolti in conflitti violenti nella Repubblica Centro-africana, Iraq, Sud Sudan, Stato della Palestina, Siria e Ucraina. In tutto il mondo, si stima che 230 milioni di bambini vivano attualmente in paesi e zone colpite dai conflitti armati.
Nella Repubblica Centro-africana, 2,3 milioni di bambini sono colpiti dal conflitto. Si stima che circa 10.000 di questi bambini siano stati reclutati da gruppi armati nel corso di quest’anno, e più di 430 bambini sono stati uccisi e mutilati – tre volte in più del 2013. A Gaza, 54 000 bambini hanno perso le loro case a causa del conflitto durato 50 giorni in luglio e agosto. Nello stesso periodo, 538 bambini sono stati uccisi e più di 3.370 sono rimasti feriti. In Siria, più di 7,3 milioni di bambini sono stati colpiti dal conflitto, tra cui 1,7 milioni di bambine e bambini rifugiati.
“È tristemente ironico che nell’anno in cui la Convenzione sui diritti del fanciullo compie il suo 25° anniversario, quando si celebrano tanti progressi per tanti bambini in tutto il mondo, i diritti di tanti altri ragazzi e ragazze sono stati brutalmente violati” ha detto Lake. “La violenza e il trauma fanno più che pregiudicare i bambini individualmente – minano la forza delle società. Il mondo può e deve fare di più per rendere il 2015 un anno di gran lunga migliore per ogni bambino”.
Brasile: progressi e sfide
Nel quadro delle statistiche sull’infanzia, la mortalità infantile è considerato un indice di quanto un paese sta garantendo il diritto dei loro figli. Il Brasile è una delle nazioni che si è distinta per ridurre in modo significativo la morte dei loro figli minori di 1 anno. Dal 1990 al 2012, il tasso di mortalità in questo gruppo è stato ridotto del 68,4% per 14,9 morti ogni mille nati vivi. Con ciò, il Paese ha già superato l’obiettivo della mortalità infantile dell’Obiettivo del Millennio numero 4, che ha stabilito una riduzione a 15,7 morti ogni mille nati vivi.
Il Brasile, nel frattempo, affronta anche la sfida di ridurre la media di decessi infantili indigeni. La media degli indici nazionali però non rispecchia gli alti tassi di mortalità infantile (minori di 1 anno) e nei bambini (minori di 5 anni) tra popolazione indigena.
Nel 2011, il tasso di mortalità infantile tra gli indigeni era di 41,9 per mille nati vivi. Ciò significa che un bambino indio ha tre volte più probabilità di morire prima di compiere 1 anno di età rispetto alle medie nazionali. Oltre a ciò, questo tasso è quasi lo stesso registrato nel 1990.
::/fulltext::
::autore_::di Eduardo Fiora::/autore_:: ::cck::294::/cck::