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Il pugno di ferro di Recep Tayyip Erdogan si è abbattuto nuovamente su quel che resta del sistema democratico turco.
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Il pugno di ferro di Recep Tayyip Erdogan si è abbattuto nuovamente su quel che resta del sistema democratico turco. Nella notte tra sabato e domenica scorsi sono finiti agli arresti 32 tra giornalisti, editori ed opinionisti, accusati di sabotare in diversa maniera il funzionamento dello Stato.
Accuse estremamente generiche, che di fatto mirano a silenziare le voci più critiche nei confronti della gestione del potere del Presidente turco. Nel mirino delle autorità inquirenti c’è in particolare il predicatore islamico moderato Fetullah Gulen, da anni in esilio negli Stati Uniti, sospettato d’intralciare, attraverso la sua rete di relazioni, le riforme poste in essere da Erdogan e dai suoi uomini.
La retata della polizia, avvenuta in 13 città del paese, infatti ha colpito i dirigenti del quotidiano Zaman, il più letto del paese, riconducibile all’imam in esilio. Una sfida alla libertà di informazione che sta incrinando in maniera indelebile i rapporti tra Turchia da una parte e Stati Uniti ed Unione Europea dall’altra. L’operazione di polizia decisa da Erdogan è peraltro solo l’ultimo tassello della deriva autocratica del Presidente turco.
Nelle cancellerie occidentali non si dimentica il ruolo di supporto avuto dalle autorità di Ankara nei confronti dei miliziani dello Stato islamico, contro i quali è in corso una campagna militare internazionale. Un malcelato sostegno che si aggiunge all’appoggio politico-economico tenuto nel corso della stagione che ha visto i fratelli musulmani al potere in Egitto.
Rimane forte anche lo sdegno per il giro di vite voluto da Erdogan contro i manifestanti di Gezi park e della rete di social network che ha permesso la protesta degli studenti. Tutti atteggiamenti incompatibili con l’adesione della Turchia alla NATO e soprattutto contrari ai pilastri ideologici dell’Unione Europea.
Proprio da Bruxelles non si sono fatte attendere le reazioni della diplomazia continentale che, attraverso le parole dell’alto commissario per la politica estera Federica Mogherini, riferendosi alla retata di giornalisti, ha voluto stigmatizzare un “atto che va contro i nostri valori”. Una pietra tombale per la Turchia di Erdogan nel percorso di partenariato continentale.
A questo punto le prospettive di leadership regionale prospettate dal sultano di Ankara, soprattutto dopo la schiacciate vittoria nelle elezioni presidenziali di agosto, rischiano di andare in frantumi, a causa della sua visione autocratica del potere e del conseguente isolazionismo internazionale. In questa fase infatti l’unico partner affidabile per Erdogan rimane la Russia di Putin, un altro campione di una concezione della politica fatta di assolutismo e di umiliazione delle opposizioni.
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::autore_::di Diego Grazioli::/autore_:: ::cck::308::/cck::