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Si racconta che nel 1922, quando entrarono trionfanti a Roma le camice nere fasciste, dopo la famosa “marcia”, Vittorio Emanuele III, il re sciaboletta, disse all’allora Capo del governo dimissionario Luigi Facta, che non c’era da preoccuparsi di questi fanatici, qualche mese ancora e di loro non si sarebbe più sentito parlare.
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Si racconta che nel 1922, quando entrarono trionfanti a Roma le camice nere fasciste, dopo la famosa “marcia”, Vittorio Emanuele III, il re sciaboletta, disse all’allora Capo del governo dimissionario Luigi Facta, che non c’era da preoccuparsi di questi fanatici, qualche mese ancora e di loro non si sarebbe più sentito parlare.
Passarono, purtroppo, venti lunghi anni e ci volle una guerra sanguinosa per tornare alla democrazia ed il prossimo anno saranno esattamente settant’anni dall’approvazione della nostra Costituzione repubblicana, tra cui, non dimentichiamolo mai: il voto alle donne, la possibilità di organizzarsi in partiti, la libertà di stampa, così preziosa dopo i fatti di Parigi, di protestare, d’iscriversi ad un sindacato in difesa dei lavoratori, di viaggiare, insomma tutte cose che ai ragazzi d’oggi sembrano banalità, ma che fino al 1946 era semplice fantapolitica.
Oggi concetti come democrazia e libertà sembrano, però, essere messe in discussione da una parte consistente del Paese, quella, per intenderci, che protesta silenziosamente non andando a votare e diventando di fatto il primo partito d’Italia.
Basta osservare con tristezza come aumentano di votazione in votazione il loro numero e pensare che ancora nel 1990 il loro numero non arrivava neppure al 20%.
Indolenza, sfiducia verso la propria classe dirigente, altro a cui pensare che a votare o, più semplicemente, per puro menefreghismo verso la cosa pubblica in genere.
Non si vuole certo condannare nessuno, anzi, è solo un dato di fatto che dovrebbe far riflettere, anche perché non è certo un sintomo di salute per le istituzioni di questo Paese. Purtroppo, qualcosa si è rotto nell’ingranaggio di trade union tra lo Stato e i propri cittadini.
È questa l’Italia tratteggiata dalla XVII indagine su “Gli Italiani e lo Stato”, promossa da Demos, l’Istituto di ricerca politica e sociale fondato da Ilvo Diamanti, per il quotidiano La Repubblica.
Assomiglia ad una replica del Rapporto 2013, ma in peggio con una amara novità: il senso di solitudine.
Oggi, molto più che nel passato, anche recente, i cittadini si sentono drammaticamente “soli” di fronte allo Stato, alle istituzioni ed alla politica, per non parlare della solitudine sociale come nel lavoro e nella stessa collettività; elemento che certo non invoglia alla partecipazione.
L’indagine Demos 2014, presentata nei giorni scorsi, evidenzia che tra gli italiani si va sviluppando una certa “stanchezza democratica”, sembra che tutto intorno stia crollando con la mancanza di certezze per il futuro.
Nessuno investe più, anzi solo lo scorso anno ben 80 mila ragazzi quasi tutti laureati, la vera ricchezza per il Paese, ha preferito prendere la valigia e cercare il proprio avvenire all’estero, proprio come cinquant’anni fa.
Una fuga dalla realtà quotidiana, proprio ora che occorrerebbe un maggior impegno di tutti verso la politica, quella però con la P maiuscola, invece ci sentiamo sempre più lontani dal Palazzo.
Leggendo il rapporto, troviamo che solo un misero 7% ha ancora fiducia nel Parlamento, per scendere drammaticamente al 3% per quanto riguarda la fiducia nei partiti.
Abbiamo di fatto una democrazia legittima, certamente, ma non più rappresentativa.
La disistima ha colpito anche le politiche europee; solo quattro anni fa ancora la metà degli italiani aveva fiducia nella Ue, oggi siamo appena al 27%, a voler essere generosi.
Ma l’elemento veramente inquietante che emerge dalla diagnosi di Ilvo Diamanti, è la voglia di un italiano su tre che in una situazione di tale degrado politico ed economico, non ci resta che puntare su un regime autoritario.
Stanchezza, paura, disperazione, ormai si ha solo voglia di certezze, al di la della cultura o dell’ ideologia e allora ben venga anche l’uomo forte e decisionista, basta che ci porti fuori da questa palude economica e sociale.
Già negli anni ’70 con la contestazione, gli scioperi e la cosiddetta strategia della tensione con il suo strascico di sangue e violenze di ogni tipo, aveva fatto aleggiare in alcuni la tentazione del Golpe.
Ricordiamo il film girato in quegli anni da Mario Monicelli, “Arrivano i colonnelli” con Ugo Tognazzi che insieme ad una serie di personaggi scalcinati, voleva prendere il potere con un colpo di Stato.
Era una parodia, certamente, ma alcuni allora ci credettero veramente in quei giorni bui, per fortuna tutto si risolse con quella improvvisazione tutta italiana di voler cambiare regime più a parole che nei fatti.
L’Italia e gli italiani di allora, nonostante tutto, riuscirono a superare questa situazione e salvare le istituzioni e anche se un po’ ammaccate, resistettero.
Arrivarono gli anni 80, quelli da bere, che narcotizzarono per un decennio il Paese, per poi svegliarsi con di soprassalto con “Mani Pulite”.
Finì, si fa per dire, la prima Repubblica e nacque la seconda per tornare a dividere l’Italia in due fazioni, questa volta non più democristiani e comunisti, ma tra berlusconiani e gli anti per venti lunghi anni, senza alcun miglioramento per l’Italia, anzi ancora siamo qui a leccarci le ferite di questo recentissimo passato.
Oggi non interessa più schierarsi, basta la propria disillusione su tutto e tutti.
Di fronte all’orizzonte senza speranza, si sceglie allora l’Uomo della Provvidenza, insomma l’uomo forte, lo straniero di turno, l’utopia della rivoluzione, l’anarchia del non voto, la fuga o il ritorno a casa.
Sembra di ascoltare Dante, che quell’ Italia, molto vicina ai tempi nostri, la conosceva bene tanto da definirla: “come una nave senza nocchiero in gran tempesta“.
Ma l’idea dell’uomo forte è sempre stata accarezzata in tutta la nostra storia, basta ricordare Machiavelli, solo per citare il più importante, che vide in Cesare Borgia il Principe, come figura morale che tiene a bada i desideri dei baroni feudali, calpesta le oligarchie e concretizza il sogno dell’Italia unita, senza le scorribande dello straniero di turno, ma nonostante le belle idee, sappiamo come è finita.
In realtà siamo un po’ tutti noi come il Grande Inquisitore di Dostoevskij: “Non vogliamo incertezze, la paura per il domani, il peso di dover scegliere, meglio allora demandare a uno solo tutto il peso e le responsabilità pronti ad applaudirlo e se fallisce, pazienza, saremo pronti a sputargli addosso“.
Per fortuna, davanti a tanta crisi abbiamo sempre il nostro “genio italico” che ci ha fatto sempre uscire dalle peggiori crisi.
Racconto un breve episodio riportato da, Janet Flanner, famosa giornalista americana mandata in Italia nel 1945 a raccontare il dopoguerra e di come a Roma, tra via Condotti e Porta Portese, c’era più benessere che nel resto d’Europa e a Milano, in una Galleria ancora mezza distrutta dai bombardamenti, nei ristoranti dove potevi mangiare tranquillamente le aragoste.
In fondo siamo un popolo che come pochi sanno rimboccarsi le maniche ed andare avanti e questa è la nostra unica vera speranza.
http://www.demos.it/a01078.php
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::autore_::di Antonello Cannarozzo::/autore_:: ::cck::362::/cck::