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La questione non è se ma quando e soprattutto dove. Nonostante le misure di controllo e prevenzione siano al massimo livello dagli attentati dell’11 settembre 2001, la convinzione degli investigatori europei è l’ineludibilità di un nuovo attacco terroristico.
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La questione non è se ma quando e soprattutto dove. Nonostante le misure di controllo e prevenzione siano al massimo livello dagli attentati dell’11 settembre 2001, la convinzione degli investigatori europei è l’ineludibilità di un nuovo attacco terroristico. Un allarme che sta modificando i protocolli dei servizi di intelligence chiamati a fronteggiare la minaccia jihadista.
Al vaglio dei ministri dei 28 paesi dell’Unione Europea ci sarebbe il rafforzamento della cooperazione tra le varie forze dell’ordine e uno scambio più intenso di informazioni tra i servizi segreti nazionali.
In particolare gli addetti alla sicurezza starebbero lavorando alla creazione di un database condiviso, che consentirebbe il monitoraggio degli spostamenti aerei dei cittadini della UE. Verrebbero scandagliate con particolare attenzione le rotte a rischio, che collegano l’Europa con i paesi arabi al confine con l’area controllata dagli uomini del autoproclamato califfato. Siria chiaramente, ma anche Turchia e Libano e per quanto riguarda la sponda sud del mediterraneo Egitto, Libia e Tunisia.
Come hanno dimostrato i drammatici fatti di Parigi, è ormai chiaro che la minaccia più impellente per i cittadini europei è costituita dai cosiddetti foreign fighters, cioè combattenti nati e cresciuti nelle periferie d’Europa che hanno sposato la causa della jihad, facendosi le ossa nei conflitti che stanno infiammando il medio-oriente. Il monitoraggio e lo scambio di informazioni riguardo coloro che negli ultimi anni hanno effettuato spostamenti nelle aree cosiddette a rischio, potrebbe dunque indirizzare nella giusta direzione gli investigatori.
Uno sforzo necessario ma non sufficiente secondo molti esperti di questioni strategiche. Negli ultimi giorni infatti, tra i servizi di intelligence, si sta facendo largo l’ipotesi di una collaborazione più stretta con i governi moderati dei paesi arabi, primo obiettivo della furia jihadista. In quest’ottica va interpretato l’incontro tra l’alto rappresentante della politica estera europea Federica Mogherini e il segretario generale della Lega Araba Nabil Al Arabi, avvenuto nei giorni scorsi a Bruxelles.
Solo attraverso un interscambio reale delle informazioni riguardanti potenziali terroristi tra Europa e paesi arabi moderati, la prevenzione di nuovi attacchi può portare a risultati concreti. In questa direzione è lampante il caso di Hayat Boumedienne, la compagna del terrorista Amedy Coulibaly autore della strage nel supermercato kosher di Parigi, transitata in Turchia e poi in Siria attraverso la Spagna, senza che la sua presenza sia stata segnalata ai servizi segreti turchi.
Sembra invece rientrata l’ipotesi di rivedere il trattato di Schengen sugli spostamenti dei cittadini europei nel vecchio continente. La guerra al terrore ha bisogno di forme nuove di monitoraggio e controllo, senza precludere però le grandi conquiste in termini di libertà personali ottenute in questi anni di costruzione europea. Solo così la guerra potrà dirsi effettivamente vinta.
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::autore_::di Diego Grazioli::/autore_:: ::cck::378::/cck::