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E’ difficile non provare un senso di inadeguatezza e di distonia guardando a quanto accade intorno a noi.
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E’ difficile non provare un senso di inadeguatezza e di distonia guardando a quanto accade intorno a noi. L’Europa, il mondo intero, si stanno interrogando – certo con ritardo anche colpevole perché troppo spesso legato ad interessi di bottega – sulla gravissima crisi internazionale e frutto avvelenato di quanto accaduto dopo l’11 settembre di 14 anni fa, determinata dall’emergere della violenza del sedicente califfato islamico e, contemporaneamente per il degenerare del conflitto in Ucraina. Nel primo caso parliamo di una metastasi che sta corrompendo molte parti del mondo islamico, nel secondo di un’ennesima crisi nel cuore dell’Europa, frutto dell’incapacità di misurarsi a viso aperto tra l’occidente euroamericano e la Russia orfana dell’Urss e in preda ad un accesso di nazionalismo ottuso e irragionevole.
In entrambi i casi – senza dimenticare molti altri focolai in giro per il globo – la diplomazia segna il passo e sembra non riuscire a bloccare le armi. Speriamo di sbagliarci per il bene di tutti.
Quello al quale facciamo riferimento, però, è l’inadeguatezza e il disagio per quello che accade nella nostra vita politica quotidiana e per l’incapacità ancora una volta del paese di affrontare da protagonista le crisi internazionali, anche alle porte di casa.
C’è uno iato crescente tra la gravità della situazione internazionale e la pochezza e il grigiore ancorché furente delle beghe alle quali i nostri politici ci fanno assistere.
Ogni giorno sentiamo parlare di autoritarismo, di fascismo da parte del governo che non eccelle certo per diplomazia e taglia corto con espressioni del tipo facciamo da soli (in tema di riforme costituzionali, un’eresia), ancora si riesuma l’aventino, l’uscita dalle aule delle Camere e via dicendo con baggianate tanto più pericolose e gravi quanto più le si usa a sproposito mentre si dovrebbe parlare di dialettica ancorché aspra e basta. Se poi si pone attenzione al senso, al balbettio delle questioni che generano le pulsioni aventiniane, allora siamo veramente allo scoramento.
Misurare i nodi, i commi, le virgole, la parentesi, gli elenchi, delle norme oggetto degli scontri con quanto sta accadendo a poche centinaia di chilometri da noi, motivo per il quale rischiamo un esodo biblico di migranti sulle nostre coste (e il connesso pericolo di infiltrazioni jihadiste di estrema attualità), è un esercizio triste e scoraggiante.
Qualcuno ha osservato in questi giorni, quasi esprimendo un auspicio: speriamo che la situazione internazionale porti consiglio e spinga a ricucire i rapporti politici ed istituzionali. Come non essere d’accordo. E come non sentirsi a disagio se pensiamo che la pletora di parlamentari impegnati in queste scaramucce e schermaglie, dovrebbe poi dibattere e decidere a nostro nome se ingaggiare un conflitto prima diplomatico e poi armato per far fronte alla minaccia.
Non vogliamo offendere nessuno, ma non è facile non provare un sentimento di sgomento. Si dirà, ma l’emergenza unisce e fa superare gli scogli! Discorso storicamente valido, ma non capace di dare risposte ai problemi quando in gioco vi è l’autorevolezza del Paese nel consesso internazionale. Tra qualche settimana, se l’Onu batterà un colpo, potrebbero porsi i già noti problemi di scelte militari nei confronti della Libia, per riportare il paese sotto controllo e sradicare la nascente cellula dell’Isis locale. Non saranno scelte facili e non potremo sottrarci ad esse tanto facilmente. Si parla di truppe sul terreno, di armamenti pesanti, di copertura aerea e navale. Chi deciderà il da farsi considerando che ancora una volta la posizione geografica del nostro paese, ci metterà dritti dritti nel fuoco e nel centro del mirino?
E chi deciderà tutto questo? Il Governo ovviamente ha le leve principali, ma uno stato di belligeranza vero, non può che essere deciso dal parlamento. E sarà questo parlamento (l’unico che abbiamo) a dover analizzare e decidere. C’è da sperare che dopo la tristissima pagina della “brigata” ellenica di estremisti perenni nostrani a sostegno di Syriza, come se si stesse ricreando la terza internazionale, non assisteremo a una sorta di “brigate” Gheddafi per osteggiare ogni scelta in nome di isolazionismo ed egoistici interessi che non hanno più e tanto meno avrebbero in un quadro bellico significato.
La nostra Costituzione ripudia la guerra come strumento per risolvere le crisi internazionali e il principio è sacrosanto, ma aggiunge anche che se si arriva a crisi estreme occorrono rimedi estremi. E’ bene ricordarlo sempre, nella speranza che mai si arrivi a un conflitto ad ampio spettro, ma sapendo anche che le male piante vanno circoscritte subito e sradicate se necessario. Le democrazie non sono pacifiste velleitariamente, ma consapevolmente, e vanno difese se necessario anche con le armi, ultimo strumento certo, ma a volte necessario per farle vivere e prosperare! E a decidere tutto questo dovrà anche essere il nostro paese, per non fare solo da base logistica e sussistenza ad altri, come già accaduto più volte!
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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::436::/cck::