::cck::429::/cck::
::introtext::
Tra violazioni del cessate il fuoco e rivendicazioni mai del tutto accantonate, la fragile tregua, concordata nel vertice di Minsk della scorsa settimana, regge.
::/introtext::
::fulltext::
Tra violazioni del cessate il fuoco e rivendicazioni mai del tutto accantonate, la fragile tregua, concordata nel vertice di Minsk della scorsa settimana, regge. Un sospiro di sollievo per le migliaia di civili costrette ad una vita disumana, a causa dei violenti combattimenti che hanno infuriato negli ultimi mesi nell’est dell’Ucraina.
Le criticità più forti si segnalano nella cosiddetta sacca di Debaltsevo, strategico nodo ferroviario difeso da seimila soldati di Kiev, circondati dalle milizie filorusse. Proprio la sorte di questo contingente militare rischia di diventare la cartina di tornasole per le possibilità di pace nella regione.
Una ritirata delle truppe lealiste, peraltro offerta dagli stessi miliziani separatisti, sarebbe un boccone troppo amaro per le ambizioni del governo di Poroschenko, alle prese con malumori diffusi in tutto il paese. Al premier ucraino viene contestata un’eccessiva arrendevolezza nei confronti delle istanze dei ribelli, supportati militarmente e diplomaticamente dal Cremlino. Una contestazione figlia di un sentimento di frustrazione per come si sono messe le cose, in quest’anno trascorso dalla rivolta di piazza Maidan e dalla cacciata del premier Yanucovich.
Particolarmente attive nelle critiche all’operato dei politici di Kiev sono le formazioni dell’ultradestra ucraina Pravi Sektor, coadiuvate dalla galassia nazionalista europea. Queste milizie, attive anche sul campo di battaglia, si sono opposte ai negoziati di Minsk, indisponibili ad ogni concessione territoriale nei confronti dei ribelli filorussi.
Un atteggiamento velleitario, perché i combattimenti dell’ultimo mese hanno segnato una netta supremazia delle formazioni separatiste, meglio armate e meglio addestrate, anche in virtù della profonda conoscenza della terra contesa, che dai tempi degli zar, rientra nella sfera d’influenza del popolo russo.
Proprio la questione dei confini dalla nuova Ucraina rappresenta il vero nodo per questa crisi che ha già lasciato sul campo migliaia di vittime. La Crimea e la regione del Donbass sono state assegnate al governo di Kiev solo dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando queste terre rientravano comunque nella grande famiglia dell’Unione Sovietica. Poi, con la caduta del muro e l’indipendenza dell’Ucraina, la situazione si è congelata, in attesa che la storia con la S maiuscola facesse di nuovo sentire la propria voce e con la rivoluzione di piazza Maidan il momento è arrivato.
Probabilmente l’unica via d’uscita praticabile, affinché questa regione torni pacificata, è la concessione a tutta l’area del Donbass di una vera autonomia amministrativa. Una soluzione vista come il fumo negli occhi dal governo di Kiev, ma che dovrà essere inevitabilmente presa in considerazione dai grandi sponsor internazionali che foraggiano le parti in conflitto.
::/fulltext::
::autore_::di Diego Grazioli::/autore_:: ::cck::429::/cck::