::cck::566::/cck::
::introtext::
Maggioranze autoritarie, minoranze discriminate, attacchi alla democrazia, lanci di crisantemi in Parlamento, annunci di Aventino, aule ridotte a “sordido bivacco di manipoli”.
::/introtext::
::fulltext::
Maggioranze autoritarie, minoranze discriminate, attacchi alla democrazia, lanci di crisantemi in Parlamento, annunci di Aventino, aule ridotte a “sordido bivacco di manipoli”.
Sembra la cronaca di un romanzo d’altri tempi o la ricostruzione storiografica di quanto avveniva dagli anni Venti in poi in Europa e in Italia. Da allora sono passati innumerevoli decenni e da oltre settant’anni nel Vecchio Continente si è realizzata una situazione di democrazia ancorché piena di difetti ed emendabile. Nel nostro Paese, costruito sulla Costituzione “più bella del mondo” (esempio di autoretorica ed autoesaltazione priva di intelligenza e solamente adatta a palcoscenici teatrali) esiste un sistema politico democratico indubitabile.
Stupisce, dunque, che proprio coloro che debbono rappresentare e difendere questa realtà, impieghino questi triti e vetusti armamentari dialettici. Possibile che non esiste alcuna capacità di parlare al paese concretamente, senza far riferimento ad epoche passate e sepolte, a situazioni storiche irripetibili non fosse altro che per la crescita individuale e politica delle generazioni che hanno vissuto in democrazia.
Possibile che un guru esterno al Parlamento, un ex comico che ha guidato e guida le sue armate parlamentari contro il sistema, possa scrivere che “la democrazia muore” perché il governo pone la fiducia su un provvedimento di riforma costituzionale?
Possibile che un rappresentate di un’altra opposizione faccia riferimento a definizioni coniate in altri tempi e in ben altre condizioni, quando essendo al governo si usò costantemente la decretazione di urgenza e la fiducia per battere l’ostruzionismo o la critica delle opposizioni? Possibile che il premier parli di difesa della dignità del proprio partito nel momento in cui una minoranza cerca di ostacolarlo?
In questo paese, tutto è possibile. Tutto e il contrario di tutto.
Il cammino della riforma elettorale, da sempre la madre di tutte le battaglie, sembra arrivare al punto cruciale. E le accuse di autoritarismo o dittatura della maggioranza, di mancata possibilità di scelta dei propri rappresentanti – cavallo di battaglia di alcuni – sono speculari ad un crisi questa sì gravissima di legame con il territorio e il paese da parte delle forze politiche. In pratica, parlamentari eletti con logiche legittime ma anche fortemente criticabili su ogni fronte, accusano la riforma annunciata dal governo di impedire la rappresentanza dei territori e la scelta degli elettori. Ma che cosa rappresentano realmente essi stessi, nei luoghi di provenienza? Basta vedere il risultato delle scelte di sostegno ai partiti nelle dichiarazioni dei redditi, per rendersi conto della drammatica realtà: nessuno.
Il punto dunque non è impedire una riforma, ma impedire che si manifesti questa cruda realtà, essa stessa all’origine della crisi non della democrazia italiana, ma del modo in cui essa si può manifestare nelle istituzioni. E a dimostrarlo è la pervicacia, la diuturna capacità di scontrarsi su codici, codicilli, percentuali, meccanismi di ogni genere, salvo che sul tema centrale: come consentire agli italiani di scegliere e mandare in Parlamento i propri rappresentanti, in nome di una scelta politica e programmatica precisa e distinguibile. E quando qualcuno, in questo caso, il premier e il governo, chiede di sostenere una riforma perfettibile certamente, ma almeno una “riforma”, apriti cielo si torna a parlare di democrazia in pericolo, di attentato alle nostre regole di convivenza.
Che tutto cambi, perché nulla cambi. Le parole che Tomasi di Lampedusa usa nel Gattopardo, sono ancora di incredibile attualità. Ma, possiamo aggiungere che nel caso italiano, si aggiunga anche la pratica della mobilità immobile. Ossia impedire con un attivismo degno di miglior causa che si possa realizzare qualsiasi cambiamento. Il tutto ancorato ovviamente a quei principi costituzionali che dicono che la politica deve promuovere e sviluppare il cambiamento e il progresso della società.
Tutto questo in nome della propria “ditta” o come avveniva nel tempo berlusconiano, per la difesa delle proprie aziende. Il ventennio dell’ex cavaliere e l’agire politico dell’opposizione di sinistra in quegli anni mostrano un perfetto bilanciamento in direzione del tutto cambi perché nulla cambi. L’importante è che ogni schieramento abbia in mano un’arma politica e ideologica per invischiare e bloccare l’avversario.
E… se qualcuno vuole decidere qualcosa?
La risposta è nei decenni di commissioni bicamerali sulle riforme, nelle proposte di modifica che transitavano da un ramo all’altro del parlamento per approdare nel dimenticatoio delle nuove legislature! E’ in nome di questo immobilismo che si attacca, si critica, si accusa. La democrazia, la sua difesa, il suo rafforzamento, temiamo, c’entrano ben poco. E il polverone delle parole, anzi dei paroloni, nasconde il vuoto pneumatico dell’assenza di una visione insieme alla paura di perdere la comoda posizione del potere di veto che costa poco ma rende molto. Solo che con il tempo questo privilegio sta sfaldandosi, le giovani generazioni comprendono sempre meno i grigiori di corridoio e cercano qualcuno che decida per il loro futuro, il loro lavoro o meglio che li metta nelle condizioni si scegliere la propria strada. Questa è la vera cruda realtà in un paese ancora vivo e vivace che arranca e perde colpi da decenni e che vorrebbe ripartire.
E intanto, le tragedie nel Mediterraneo, quelle sì vere tragedie, fanno apparire sempre più la realtà della nostra politica: una commedia per di più stucchevole. Attenti però, perché gli italiani potrebbero assestare un altro scossone al sistema, non appena si dovesse andare al voto! E questo anche contro gli interessi degli “immobilisti”!
::/fulltext::
::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::566::/cck::