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Nigeria: giustizia? No, vendetta

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L’ultimo attacco delle milizie ribelli di Boko Haram, in ordine di tempo, è stato sferrato venerdì 22 maggio nel villaggio di Pambula-Kwamda, stato dell’Adamawa, nel nordest della Nigeria, ed è costato la vita di dieci persone.

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L’ultimo attacco delle milizie ribelli di Boko Haram, in ordine di tempo, è stato sferrato venerdì 22 maggio nel villaggio di Pambula-Kwamda, stato dell’Adamawa, nel nordest della Nigeria, ed è costato la vita di dieci persone. La notizia è giunta soltanto lunedì 25, con molto ritardo a causa delle difficoltà di comunicazione.
E’ singolare il fatto che le forze armate nigeriane avessero dichiarato nel mese di marzo quella zona “pulita”: uno smacco per la strategia di comunicazione governativa.
Sempre più a ridosso dell’insediamento del neo Presidente nigeriano, Muhammadu Buhari, fissato per il 29 maggio, il responsabile nigeriano della Defence Intelligence Agency, contrammiraglio Gabriel Okoi, ha recentemente annunciato un’azione definita concreta per comprendere chi sostiene, anche finanziariamente, la setta che insanguina da anni la Nigeria ed ha dichiarato di attendersi maggiore cooperazione e, quindi, più informazioni soprattutto dalle banche, appositamente istruite.
Meno di due mesi or sono, una ricercatrice dell’IISS, Virginia Comolli, che ha pubblicato “Boko Haram: Nigeria’s Islamist Insurgency (London: Hurst Publishers, 2015)” ha spiegato che la setta ha ricevuto da molto tempo sostegno in vario modo e da diverso tempo, ed anche da persone ricoprenti incarichi pubblici non disdegnando il ricorso a truffe e malversazioni.
In una recente intervista rilasciata a Les Voix du Monde, nella sezione in lingua inglese, la Comolli ha sostenuto che “è anche possibile che all’inizio della propria attività un certo numero di politici locali avrebbero assunto membri di BH, delinquenti locali, come loro esecutori politici utilizzati per intimidire la parte concorrente”.
Niente di nuovo: si tratta di un’ipotesi (ma sempre e soltanto ipotesi) decisamente plausibile, peraltro di pubblico dominio, ma che non ha mai provocato reazioni istituzionali tali da affrontare il problema ed avviarlo a soluzione, utilizzando in primo luogo gli strumenti a presidio delle istituzioni, dalla magistratura, alle forze di polizia, all’intelligence.
Non più tardi di due settimane or sono, da queste stesse pagine abbiamo dato conto di altri fatti di sangue che hanno interessato lo stato di Plateau, vicino alla capitale Abuja, ma senza alcun riferimento alla setta sanguinaria. In quella occasione si è trattato di “omicidio” di un certo numero di poliziotti intervenuti su una faida che aveva interessato da una parte gli agricoltori e dall’altra gli allevatori. E quando la polizia era giunta in forze sul luogo, lo scontro tra forze “istituzionali” e milizie locali aveva lasciato sul terreno un gran numero di morti, uomini ed animali, e case incendiate, suscitando la sensazione di trovarsi di fronte più ad una rappresaglia che ad un’azione volta ad assicurare alla giustizia gli autori dell’omicidio dei poliziotti.
L’incapacità o, meglio, la non volontà di intraprendere la strada che porta all’uso degli strumenti democratici per la soluzione delle controversie è, da anni, alla base di un sistema di gestione della cosa pubblica che affida a strumenti privati la soluzione delle controversie, nel quale le forze di polizie non sono “terze”, ma diventano esse stesse parti. 

IISS – The International Institute For Strategic Studies – www.iiss.org
http://www.amazon.com/Boko-Haram-Nigerias-Islamist-Insurgency/dp/1849044910

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::autore_::di Giorgio Castore::/autore_:: ::cck::605::/cck::

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