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Con questa parola si intende la deliberata produzione di una minorazione, temporanea o permanente, sul proprio corpo. In senso figurato, è l’atteggiamento o il comportamento, più o meno deliberato o consapevole, che finisce col danneggiare fortemente chi lo assume, o che costituisce comunque una rinuncia alla difesa dei proprî interessi.
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Con questa parola si intende la deliberata produzione di una minorazione, temporanea o permanente, sul proprio corpo. In senso figurato, è l’atteggiamento o il comportamento, più o meno deliberato o consapevole, che finisce col danneggiare fortemente chi lo assume, o che costituisce comunque una rinuncia alla difesa dei proprî interessi.
Di recente, legato ad una figura ironica la tendenza a danneggiarsi consapevolmente, è stata definita “tafazzismo”. In sostanza quel che si può anche definire masochismo, è tipico di Tafazzi, personaggio televisivo interpretato nel trio comico, Aldo, Giovanni e Giacomo, da Giacomo Poretti comparso per la prima volta nella trasmissione «Mai dire Gol» nel 1995. In questo caso la caratteristica del personaggio era quella di colpirsi con deliberata violenza sia a livello psicologico che pratico.
L’attitudine di cui parliamo sembra essere l’elemento distintivo della sinistra italiana. E’ come un virus che si insinua, rimane latente, per poi manifestarsi nel momento in cui si corre il rischio di essere maggioranza nel paese, a prezzo ovviamente di divenire, come usa dire, inclusiva, capace di interpretarlo in tutta la sua complessità.
E’ come se comprendendo anche esigenze, interessi, problemi di aree diverse da quelle naturalmente rappresentate – quella operaia, dei lavoratori dipendenti, dei dipendenti pubblici – qualcosa si spezzi nel tessuto politico e comincia a generare distinguo, che via via si trasformano in critiche, anatemi, minacce di scissione. Ecco, potremmo dire che lo scissionismo è la malattia endemica del tafazzismo.
Il recente risultato elettorale amministrativo con un duro colpo di arresto al renzismo ha la sua radice profonda nelle spinte divisive e nella durissima lotta interna generata dalle scelte del premier, segnate da una forte discontinuità con i capisaldi di quella che sino a ieri, era la sinistra post comunista e sindacale, con il corredo di quella parte del popolarismo ex sinistra dc la cui unica stella polare sembra essere quella di “coniugarsi” sempre e comunque con la parte più conservatrice anche a sinistra.
Il risultato di questa cupio dissolvi, naturalmente ammantata di richiami agli inalienabili principi politici e sociali di sempre, alla difesa della democrazia e della Costituzione, è davanti agli occhi di tutti. Ovvio che nutrendo simili sentimenti non avremmo potuto immaginare un sostegno entusiasta al governo e al premier. Ma da qui a porre in essere comportamenti e scelte dirompenti tali da far implodere il consenso sociale al Pd, a quella “ditta” di bersaniana memoria e alla sinistra di governo, molto ce ne corre. Se poi aggiungiamo a questo quanto sta emergendo sui rapporti politica-criminalità, come a Roma e in altri casi che vedono esponenti pd coinvolti, allora siamo veramente dinanzi ad atti di vero e proprio autolesionismo. Se poi aggiungiamo che gran parte del personale politico locale coinvolto in inchieste è legato al Pd precedente all’arrivo di Renzi, abbiamo un altro passo verso il tafazzismo puro. Con il premier e leader del partito costretto a difendere impresentabili vari e personaggi che controllano – sarebbe meglio dire controllavano – il consenso elettorale. E questi che contribuiscono quasi sempre a frenate elettorali imbarazzanti, anche se ovviamente comprensibili da parte di chi si reca al voto.
La fotografia che deriva da tutto ciò, è quella di una reale divisione di un’area che ha rischiato per la politica aggressiva e fuori contesto del premier di risultare maggioritaria nel paese. Un peccato inaccettabile per i duri e puri, per i difensori del buon tempo antico, del pan sindacalismo a guida comunista che ha condannato per decenni, complice la guerra fredda, il vecchio Pci all’opposizione e che hanno accettato con mal di pancia crescenti ogni evoluzione che ha segnato questi decenni di evoluzione della sinistra. E con essa ha condannato al progressivo immobilismo economico e produttivo anche il Paese.
Tutto questo anche mettendo nel conto di essere sempre e comunque minoranza. Ma non è questo, la minoranza qualificata, l’avanguardia “rivoluzionaria”, il gruppo dirigente che tutto sa e tutto decide, il sottile morbo che la caratterizza? La domanda è ovviamente retorica e la risposta tanto ovvia da risultare quasi semplicistica: certo che sì!
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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::648::/cck::