La parola

SOLIPSISMO

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E’ una parola inconsueta, nell’uso comune, quella che abbiamo scelto ma sembra essere divenuto carattere abituale dei comportamenti politici, individuali o di gruppo, nella nostra classe politica. 

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E’ una parola inconsueta, nell’uso comune, quella che abbiamo scelto ma sembra essere divenuto carattere abituale dei comportamenti politici, individuali o di gruppo, nella nostra classe politica. Il suo significato letterale dal latino, deriva dall’unione di due termini, solus «solo»e ipse «stesso» che spiegano, abbastanza bene, già ad un primo approccio di che coda si parla.
Il senso più completo è quello filosofico, dove si indica l’atteggiamento di chi risolve ogni realtà in sé medesimo, o dal punto di vista pratico (ponendo a metro delle azioni il proprio interesse personale) o quello gnoseologico-metafisico (considerando l’universo come semplice rappresentazione della propria, particolare, coscienza). Dall’Ottocento il solipsismo, rigorosamente inteso, è la posizione teoretica che assume la coscienza empirica, individuale, come fondamento di ogni forma di conoscenza: inizialmente connesso all’idealismo soggettivo, cioè alla dottrina che risolve ogni realtà nei contenuti soggettivi, particolari, della coscienza, è parzialmente superato nell’idealismo trascendentale di I. Kant, che considera l’autocoscienza pura dell’«io penso» come fondamento universale e oggettivo del conoscere, cui tuttavia è ancora contrapposta la realtà autonoma della «cosa in sé»; il suo completo superamento avviene solo nell’ambito dell’idealismo oggettivo, in quanto posizione filosofica che elimina ogni contrapposizione tra la coscienza e la realtà.
Altro significato, estensivo e letterale quello che descrive il soggettivismo, l’individualismo estremo, per cui ogni interesse è accentrato su di sé, ignorando o trascurando i problemi e gli interessi degli altri.
Sin qui, ma illuminante, le definizione della parola. Se guardiamo allora alla politica italiana di oggi e ai suoi esponenti di spicco, ma il discorso vale anche per le espressioni locali o addirittura localistiche, abbiamo la netta sensazione di una realtà che è là, davanti ai nostri occhi, senza molte mediazioni: E va detto subito, l’atteggiamento in questione non è appannaggio esclusivo della politica, ma lo si incontra nel giornalismo, in economia dove però è sovente calmierato dal realismo, e purtroppo anche nel campo dove l’oggettività e terzietà dovrebbe garantire, nel campo della giustizia.
E’ però indubitabile che la massima capacità rappresentativa è nella politica, dove è facile percepire un delirio di onnipotenza comprensiva, per cui il politico “sa”, “conosce” la realtà e la trascende nel suo agire, laddove al contrario esso dovrebbe “rappresentare” la realtà.
Il pensiero di molti, a questo punto, va a casi noti come quelli dell’ex cavaliere o più di recente a quello dell’attuale premier. Una premessa, non di valore, va fatta subito: chi rappresenta le istituzioni al massimo grado, non può non avere una visione. Essa può essere anche sbagliata, distorta, eccessiva, ma senza ogni cosa si ritorce o si ripiega su se stessa.
Il solipsismo del quale ci vogliamo occupare è invece quello di quanti fingono di non capire la realtà impietosa che hanno davanti e si ergono moralizzatori e ad unici capaci di cambiare, scambiando la propria visione per il valore assoluto e non rendendosi conto di avere in essi, comunque, la responsabilità primaria e necessaria per il loro stesso ruolo.
La vicenda di malaffare che ha colpito la capitale, dimostra proprio questo. Il primo cittadino si esprime sempre come se fosse un alieno, uno catapultato casualmente, comunque pronto a sentenziare e sanzionare le colpe altrui, dimenticando chi in questi anni si è seduto sullo scranno di primo cittadino.
Il malessere si trasferisce anche nei partiti, nelle articolazioni territoriali, dove nessuno sapeva, è sempre colpa di qualcun altro, un lamentare di essersi fidati di qualcuno che non lo meritava e via dicendo.
Appare evidente che tutto ciò dimostra ancora una volta, se ve ne fosse bisogno, lo scollamento della politica dalla città (occorre ricordarlo la capitale e la più importante del paese) e dalla sua reale situazione. Se non si capisce sino in fondo la lezione che deriva da questa crisi, la capacità della politica di ogni colore, di rappresentare qualcosa sarà irrimediabilmente compromessa. E quello a cui si assiste è soltanto tattica dilatoria e prassi scollata da ogni valore o identità.
Sempreché la linea di non ritorno non sia stata già oltrepassata!

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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::656::/cck::

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