::cck::725::/cck::
::introtext::
E’ trascorso un mese dall’inizio dell’ultimo caos nei trasporti che ha interessato il nostro Sistema Paese, partendo da Roma Capitale per passare dallo sciopero Alitalia e giungere ai disservizi Vuelig
::/introtext::
::fulltext::
E’ trascorso un mese dall’inizio dell’ultimo caos nei trasporti che ha interessato il nostro Sistema Paese, partendo da Roma Capitale per passare dallo sciopero Alitalia e giungere ai disservizi Vuelig, la compagnia spagnola low cost, con una tappa alle assemblee dei custodi dei beni archeologici.
Il nostro premier, Matteo Renzi, sulla situazione degradata del Sud, ammonisce a non piangerci addosso ed invita ad operare. Concordo con lui, a patto che se ci si riferisce a qualcosa che non ha funzionato, se ne individuino le cause e le eventuali responsabilità individuali e collettive e se ne correggano le storture.
Cominciamo, per esempio, dallo “sciopero bianco” dei macchinisti dell’Atac SpA, l’azienda cui è affidata la gestione del trasporto pubblico di Roma Capitale. Anche se a tale tipo di sciopero sia lecito addebitare una delle cause responsabili del disastro incivile cui sono stati sottoposti nel mese appena trascorso i cittadini di Roma Capitale e tutti gli altri fruitori del servizio di trasporto locale, va subito detto che siamo di fronte ad un problema che ha radici antiche.
In primo luogo si può agevolmente affermare che lo sciopero bianco non è uno sciopero, perché lo sciopero reclama una astensione dal lavoro cui corrisponde una trattenuta dallo stipendio commisurata al periodo di tempo contrattuale dell’astensione. La beffa per il “sistema” consiste nel fatto che nello sciopero in questione nessuna trattenuta sia stata operata. Perché? Perché non vi è stata astensione dal lavoro. In tal modo chiunque può decidere di scioperare, con modalità le più assurde e meno trasparenti, danneggiare irrimediabilmente chiunque e passarla liscia in nome di che cosa?
Allora va bene, non piangiamoci addosso, ma proviamo almeno a non consentire che pochi danneggino impunemente molti e soprattutto cerchiamo di non continuare a violare la nostra Costituzione negli articoli 39 e 40.
E qui veniamo al “capolavoro”. E’ sacrosanto che, come recita la nostra Costituzione all’articolo 39, l’organizzazione sindacale sia libera, ma perché dal dicembre del 1947 ad oggi, dopo 68 anni, ancora non è mai stata data applicazione con legge all’obbligo a carico dei sindacati, previsto dai successivi comma dell’articolo 39, di registrarsi, di avere un ordinamento interno a base democratica che li rendano quindi con personalità giuridica e con capacità di stipulare contratti collettivi con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie cui il contratto si riferisce?
E’ semplice: perché i sindacati confederali, CGIL, CISL e UIL, che hanno avuto un’enorme importanza nello sviluppo e, soprattutto, nel progresso del nostro Paese, non ne hanno mai voluto consentire l’applicazione. In estrema sintesi, se da un lato si è vissuto con la convinzione di dover mantenere un baluardo capace di resistere ai malintenzionati del rovesciamento antidemocratico (non possiamo dimenticare il tentativo di golpe del generale De Lorenzo), dall’altro avevano paura di contarsi e temevano di essere sindacati (scusate il gioco di parole) da altri soggetti, come ad esempio la magistratura.
Ma dopo 68 anni di vaccino democratico, hanno anche avuto tutto il tempo di operare in modo da allineare i loro statuti, le loro gestioni ed i loro comportamenti al dettato costituzionale. Se non lo hanno ancora fatto, non possono rappresentare nella sostanza più nessuno perché non si può ancora sapere chi, in effetti, rappresentino.
E’ tempo di passare dalle corporazioni dello stato fascista alla vera rappresentanza democratica. E questo deve farlo il Parlamento cominciando con l’attuazione degli articoli 39 e 40 della Costituzione: lo deve alla democrazia.
::/fulltext::
::autore_::di Giorgio Castore::/autore_:: ::cck::725::/cck::