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Il terremoto estivo delle borse mondiali, con epicentro a Pechino, mette in guardia sugli effetti della globalizzazione e sui falsi miti che i mass media pongono sulle nostre conoscenze.
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Il terremoto estivo delle borse mondiali, con epicentro a Pechino, mette in guardia sugli effetti della globalizzazione e sui falsi miti che i mass media pongono sulle nostre conoscenze.
Dopo un ventennio di crescita a doppia cifra, tutti gli operatori si aspettavano un calo del PIL cinese, ma gli effetti dirompenti subiti ad agosto dai mercati finanziari meritano un po’ di analisi sulle motivazioni che colpiscono la Cina in questo periodo.
Dopo la crisi mondiale del 2008, solo la Cina è riuscita a trainare l’economia mondiale, con crescita del 10% e continui investimenti in infrastrutture fungendo da locomotiva per gli aggiustamenti strutturali dei paesi occidentali alla prese con le ferite provocate dai mutui subprime. Le economie emergenti ed i paesi produttori di materie prime brindavano alla sempre crescente domanda dei materiali di base con noi occidentali intenti a portare un po’ della nostra produzione nel nuovo impero.
Passare in pochi anni da essere definito paese emergente a diventare un paese leader politico ed economico, con un PIL che copre da solo il 25% della produzione mondiale, ha i suoi effetti, anche negativi.
Il calo dell’industria manifatturiera e il crollo dell’export segnalano che la Cina sta tentando in tutti i modi di trasformare la propria economia, con un incremento dei consumi interni, per poter resistere meglio agli inevitabili shock che crescite eccessive e non equilibrate producono nel lungo periodo.
L’aver accettato il diktat degli Usa, di aprirsi al mercato e far fluttuare il proprio cambio, si è rilevato un boomerang per un’economia ancora fortemente pianificata, con un mercato dei capitali non in linea con le piazze finanziarie di New York o Londra.
Dopo le prime scosse di maggio, la grande muraglia ha mostrato le sue crepe in agosto ed il governo è corso ai ripari svalutando più volte lo yuan nel tentativo di arginare le fuoriuscite di capitali e rimpinguare l’export.
Le voci di corridoio parlano di dati truccati dal governo di Pechino che attesterebbe la crescita di quest’anno sotto al 6%.
Un rallentamento così forte dell’economia cinese comporta gravi conseguenze per il resto del mondo in trepida attesa delle risorse in investimenti ed in infrastrutture che l’oriente prometteva: le mosse della banca centrale statunitense la prossima settimana saranno una cartina al tornasole di quello che sarà il prossimo scenario sulle economie e sui mercati.
L’Europa sta lì a guardare, con il governatore Draghi che incrocia le dita, ben consapevole che il QE europeo verrebbe disinnescato da un nuovo periodo recessivo mondiale.
In un mondo fortemente indebitato, dove l’economia reale cresce poco e a vantaggio dei soliti noti, riusciranno gli USA a tornare ad essere la nuova locomotiva degli anni a venire? Secondo la legge dei corsi e ricorsi storici, un bel piano Marshall sarebbe di certo gradito.
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::autore_::di Gianluca Di Russo::/autore_:: ::cck::771::/cck::