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La storia, lo sappiamo, è maestra di vita, da essa possiamo ricavare tutte le esperienza che l’umanità ha affrontato nell’arco dei secoli. Questo almeno è ciò che si ripete sempre per poi non farne alcun conto ed è per questo, forse, che l’umanità continua a sbagliare.
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La storia, lo sappiamo, è maestra di vita, da essa possiamo ricavare tutte le esperienza che l’umanità ha affrontato nell’arco dei secoli. Questo almeno è ciò che si ripete sempre per poi non farne alcun conto ed è per questo, forse, che l’umanità continua a sbagliare.
Oggi si parla moltissimo di questo arrivo di immigrati che fuggono, come sappiamo, dalle guerre e dalla fame.
Hanno bisogno della nostra solidarietà e sentendo parlare però gli opinionisti, i giornalisti, i sociologi, ma anche attori e cantanti, ognuno ha la sua ricetta senza una vero progetto per il futuro se non una vaga accoglienza ed inserimento sociale.
Forse, studiare la storia di Roma imperiale farebbe bene a tanti di questi “Soloni” dell’accoglienza tout court dando soluzioni spesso deleterie anche per questa povera umanità dolente.
Torniamo allora indietro al IV secolo dopo Cristo.
Roma è la più grande potenza che il mondo antico abbia mai avuto, i suoi confini si estendono dall’Atlantico al Mar Caspio, nulla sembra temere la Caput Mundi, ma qualcosa sta per sconvolgere per sempre la sua storia. Tutto comincia con un fatto quasi irrisorio, vista la vastità dell’impero, e lo stesso imperatorio Valente non ne percepisce il pericolo.
Nel 376 un numero enorme per l’epoca di popolazioni Gote attraversavano i confini dei possedimenti romani all’altezza del Danubio in fuga dalla crudeltà degli Unni.
Alle popolazioni di confine appaiono subito della povera gente macilenta, con poche masserizie e tanti bambini, vittime della guerra tra barbari.
E ieri come oggi non mancarono gesti di solidarietà e di contrarietà.
Valente, comunque, fu ben felice di accoglierli nelle terre dell’impero, anche perché lo stato era in piena crisi demografica, scarseggiava manovalanza, specie quella specializzata e nell’esercito molte guarnigioni cominciavano ad essere sguarnite.
Fu predisposta la receptio, cioè l’accoglienza per i profughi, installando magazzini per la distribuzione immediata di ogni genere di prima necessità come: il vestiario e generi alimentari offerti gratuitamente ai profughi.
Purtroppo, anche la tragedia di questa povera gente attirava la cupidigia di funzionari corrotti che facevano il mercato nero o, peggio, vendevano a caro prezzo ai fuggiaschi gli alimentari che dovevano dare gratis, per questo motivo ci furono parecchi processi in merito.
Comunque, la macchina organizzativa romana tenne abbastanza bene e ben presto le famiglie vennero sistemate in zone da coltivare e i ragazzi ammessi all’addestramento nelle legioni. In poco tempo e con una politica accorta questa massa venne ben presto assimilata all’impero.
Ammiano Marcellino nel suo Rerum gestarum sulla storia degli accadimenti dell’impero nel IV secolo scrive entusiasta, sembra di leggere i nostri giornali “La cosa suscitò più gioia che paura, e tutti gli adulatori istruiti lodarono smodatamente la buona sorte dell’imperatore Valente che in modo così inaspettato gli procurava tante giovani reclute e venute dagli estremi confini, giacché unendo le sue forze a quelle degli stranieri, avrebbe messo insieme un esercito davvero invincibile. E poi, oltre alla leva di soldati , che ogni provincia che veniva data ai profughi perché la coltivassero, forniva annualmente un tributo, ciò avrebbe fatto affluire al tesoro imperiale una gran quantità d’oro”.
Insomma una facile soluzione al problema del calo demografico e all’occupazione di quei lavori che i romani ormai non volevano più fare, soprattutto il militare.
Ma appena due anni dopo, nel 378, Valente si accorse dell’errore che aveva fatto nell’inserire nelle file dell’esercito i profughi, per una vera assimilazione occorrevano anni e sforzi da ambo le parti per riuscire per amalgamare i vari stili di vita, ma la fretta e forse la necessità ebbe il sopravvento e l’imperatore fu sonoramente sconfitto nella battaglia di Adrianopoli, in Tracia, contro I Visigoti.
Una tale disfatta Roma non la vedeva dai tempi di Annibale, Valente stesso perse la vita insieme ai due terzi delle sue legioni; i goti arruolati si batterono coraggiosamente, come narrano le cronache, ma sempre da barbari, non ascoltando più gli ordini dei centurioni, gettando via le armature e invece di obbedire alle manovre strategiche, si gettarono nudi nella mischia, venendo falcidiati dai Visigoti.
La sconfitta fu certamente grave, ma l’impero era tutto sommato ancora grande pertanto sempre più profughi attraversavano i confini senza più alcuna restrizione e si insediarono nelle zone dell’impero come candidati alla cittadinanza romana per beneficiare del benessere certamente superiore dei civis romani.
Cominciarono a entrare nella sua burocrazia riscuotendo, ad esempio, le tasse per Roma ma cominciando a tenersi il grosso del denaro facendo mancare, cosa più grave, il sostegno che manteneva tutto l’esercito.
Apprezzavano il benessere materiale romano, ma non ne capivano la complessità e non si curarono certo della sua manutenzione e dove si insediavano distruggevano splendidi acquedotti, lasciando in rovina il sistema fognario e quello delle strade.
In seguito, questo modo di vivere era diventato usuale, tanto che già un secolo dopo lo storico Eugippo che scrisse la prima biografia di sant’Agostino, raccontava di una guarnigione che stanziava nell’attuale Baviera recatasi a Milano per riscuotere le tasse per pagare i soldati. “Gli inviati – scrive Eugippo – furono uccisi dai barbari durante il viaggio e solo molto dopo i loro corpi furono visti sulla riva del fiume, dove la corrente li aveva portati. Nessuna paga giunse ai soldati e quelle truppe scomparvero insieme alla frontiera”, e così fu per molte guarnigioni sempre più depresse e affamate.
Scrive ancora un anonimo Cronista nel 452
“Gli antichi romani erano temuti; ora siamo noi che temiamo. I barbari pagavano loro i tributi; ora siamo noi a pagare tributi ai barbari. Ci fanno pagare perfino la luce del giorno, dovendo noi comprare il diritto alla vita. Dobbiamo addirittura ringraziare i barbari per il diritto di riscattarci. Cosa c’è di più miserevole e umiliante!”.
Forse la storia può ancora insegnarci qualcosa, accogliere ed essere solidali è e rimane un atto di grande valore umano, ma, come diceva proprio un famoso naturalista dell’antica Roma, Plinio il Vecchio: “cum grano salis”.
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::autore_::di Antonello Cannarozzo::/autore_:: ::cck::810::/cck::