Cultura

Le Troiane di Euripide, al Tempio di Adriano

• Bookmarks: 9


::cck::844::/cck::
::introtext::

"Peloponnesian War - it" di F l a n k e r - Image:Pelop krieg1.png. Con licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons - https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Peloponnesian_War_-_it.png#/media/File:Peloponnesian_War_-_it.png
Il Michelangelo della Cappella Sistina, Jacopo della Quercia, Gustavo Dore e chissà quanti altri artisti ci hanno ricordato con opere memorabili che Dio, come abbiamo appreso dalla Bibbia, ha creato prima l’uomo.

::/introtext::
::fulltext::

Il Michelangelo della Cappella Sistina, Jacopo della Quercia, Gustavo Dore e chissà quanti altri artisti ci hanno ricordato con opere memorabili che Dio, come abbiamo appreso dalla Bibbia, ha creato prima l’uomo.
E’ dunque da attribuire all’uomo la primogenitura per così dire dell’umanità. Figura centrale dell’universo tuttavia è stata, è e rimane, la donna, la cui “presenza” è immanente fin dal primo apparire dell’uomo sulla terra. Ciò ha determinato una sorta di conflitto non tanto tra la “primogenitura” e la “centralità” delle due figure, quanto proprio tra i soggetti in esame e quanto essi stessi rappresentano. Né ci pare sia necessario dilungarsi per capire come sia preferibile essere al centro di un evento, di una storia, piuttosto che esserne i primi fruitori, attori o spettatori che si sia.
Al centro c’è sempre la donna: donna come madre, donna come moglie, donna come compagna, o addirittura come “l’altra metà del cielo”, secondo la magniloquente e talvolta abusata espressione di Mao Ze Dong che definì proprio così l’universo femminile, quella parte di mistero e compiutezza che avvolge la terra e che la rende più viva ed arcana. Prima di lui, molto prima di lui, erano stati gli autori greci a tratteggiare la figura della donna alle prese non solo e non tanto con l’educazione dei figli, le “attese” dei mariti o la gestione della casa, ma addirittura – è il caso delle Troiane di Euripide – con la difesa dalla sopraffazione talvolta vile (perché non ammetterlo?) che il “signor uomo” esercita da sempre sulla natura femminile.
C’è dell’altro. Le Troiane, come anche Elena e Le Supplici dello stesso Euripide, è venata da un evidente antimilitarismo. Troia – ricordiamo – è caduta, gli uomini sono stati uccisi e alle donne troiane si apre la prospettiva di trascorrere nella schiavitù il resto dei loro giorni. Tutto insomma è già avvenuto, e niente resta, a parte i morti e il dolore dei sopravvissuti. Risulta evidente la centralità del punto di vista dei vinti e non quello dei vincitori: questa prospettiva (già adottata da Eschilo nei Persiani) mette in risalto non tanto l’eroismo di chi vince, quanto la disperazione dei vinti, con lo scopo di mettere in luce le sofferenze generate dai conflitti armati.
Nel dramma di Euripide, la presenza viva ed acuta del dolore si congiunge con la convinzione dell’eroicità della sventura di fronte alla vittoria dei distruttori. Tale vittoria è però solo apparente, ognuna delle protagoniste dell’opera trovando il modo di reagire alla tremenda sventura che le ha colpite. I vincitori, invece, che sono poi alcuni dei più grandi eroi della mitologia greca, si comportano solo come insensati aguzzini, capaci della più bruta barbarie senza la minima remora. Le donne troiane insomma hanno perso tutto, ma non la loro dignità umana, che invece gli spietati soldati greci sembrano non aver mai posseduto.
Un fatto distingue Le Troiane dalle altre tragedie antimilitariste di Euripide: l’opera non è solo una generica condanna della guerra, perché fa riferimento ad un preciso atto bellico compiuto da Atene pochi mesi prima della rappresentazione della tragedia. Nel 416 a.C., in piena guerra del Peloponneso, Atene aveva chiesto all’isola di Melo di aderire alla lega delio-attica, sottomettendosi così alla dominazione ateniese. I meli avevano rifiutato, perché erano una colonia spartana e perché erano indipendenti da 800 anni. Avevano però offerto ad Atene la loro neutralità nella guerra e la possibilità di intrecciare rapporti di amicizia. Gli ateniesi, temendo che un atteggiamento troppo morbido verso Melo potesse dare un’impressione di debolezza alle poleis alleate e a quelle nemiche, avevano infine attaccato l’isola, passando per le armi i suoi uomini e vendendo come schiavi le donne e i bambini. Il sacco di Melo aveva sconvolto la coscienza civica ateniese e generato numerosi interrogativi. In questo contesto, pochi mesi dopo, Euripide mette in scena, davanti agli stessi autori di quell’atto, un’opera che ripropone la stessa situazione creatasi a Melo: uomini uccisi, donne e bambini ridotti in schiavitù. Al tragediografo va riconosciuto il coraggio di aver rappresentato un’opera che criticava in maniera chiara e molto dura lo spietato imperialismo della sua città.
Lo spettacolo “Troiane di Euripide” – dopo la prima del 7 luglio al Dipartimento di Matematica della Sapienza e due successive rappresentazioni a Civita Castellana e San Felice Circeo – è stato presentato al Tempio di Adriano nell’ambito del “Piccolo Festival dell’Essenziale”, organizzato dalla Fondazione Claudi, con ideazione e per la regia di Adriano Evangelisti. L’opera è stata messa in scena dai partecipanti al progetto Theatron, Teatro Antico all’Università La Sapienza, coordinato da Anna Maria Belardinelli docente di Filologia classica alla facoltà di Lettere e filosofia dello Studium Urbis, che da ormai più di cinque anni produce traduzioni di testi teatrali antichi su cui si basano le successive rappresentazioni.
Theatron consta di due laboratori, uno di traduzione, cui partecipano gli studenti del Corso magistrale in Filologia, Letterature e Storia del Mondo Antico, e uno di messa in scena, cui partecipano gli studenti iscritti alle diverse Facoltà che animano La Sapienza. La traduzione, che si basa su un rigoroso lavoro di critica testuale, di esegesi e di ricostruzione drammaturgica dell’opera in programma, viene “messa alla prova” e trova conferma della sua validità nel laboratorio di messa in scena. Il lavoro svolto dal laboratorio di traduzione consiste quindi nel riarticolare un testo teatrale antico in vista di una comunicazione rivolta, in primo luogo, agli studenti del laboratorio di messa in scena per lo più provenienti da differenti esperienze scolastiche e, talora, estranei alla lingua e alla cultura antica; successivamente, ad un pubblico di spettatori, lontano, nel tempo e nello spazio, dal testo tradotto e rappresentato. Theatron, dunque, crea una forte sinergia tra i due laboratori e ricostruisce la vera natura del teatro antico, quando un dramma veniva messo in scena in una dimensione di coralità e di utilizzazione collettiva.

::/fulltext::
::autore_::di Fabrizio Cerri::/autore_:: ::cck::844::/cck::

9 recommended
comments icon0 comments
bookmark icon

Write a comment...