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La serie di attacchi terroristici coordinati a Parigi hanno innescato un cambio di passo nella questione dei conflitti mediorientali. La prima reazione del presidente Francois Hollande è stata di definire gli attentati del 13 novembre un “atto di guerra”.
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La serie di attacchi terroristici coordinati a Parigi hanno innescato un cambio di passo nella questione dei conflitti mediorientali. La prima reazione del presidente François Hollande è stata di definire gli attentati del 13 novembre un “atto di guerra”. Due giorni dopo, parlando alle Camere riunite a Versailles, ha ribadito che la Francia “è in guerra” contro l’Isis e ha chiesto il sostegno dell’Europa, e di Usa e Russia.
Al di là della largamente discussa questione sulla natura degli attacchi terroristici di Parigi e sulla qualità della loro organizzazione, l’attenzione politica internazionale si sta spostando sulla reazione della Francia e dell’occidente, e sugli scenari che possono risultare dalle strategie messe in atto. Se, come afferma William McCants, esperto di islamismo e jihadismo presso il Center for Middle East Policy, l’attacco è stato coordinato direttamente dall’Isis quale deterrente ai bombardamenti francesi contro le proprie postazioni in Siria, l’effetto potrebbe essere esattamente l’opposto: una recrudescenza delle azioni belliche contro lo stato islamico.
Abbiamo chiesto a Fabrizio Battistelli, Presidente dell’Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo, di chiarire cosa si intende per guerra nel 21esimo secolo.
D: Il presidente francese Hollande ha definito gli attentati di Parigi un “atto di guerra”. Che significato ha oggi la parola “guerra”? Ha lo stesso significato che conosciamo dai libri di storia?
Tra il 1989 ed il 2001 il termine guerra ha cambiato significato rispetto al conflitto accentrato e attuale delle due guerre mondiali. Anche la guerra fredda tra superpotenze, con il suo equilibrio del terrore nucleare, era accentrata, però fortunatamente era virtuale. Oggi il conflitto è decentrato: non più gestito da uno stato o alleanza di stati, bensì diffuso, confuso, dominato da attori sfuggenti; il tutto però drammaticamente attuale nel senso di reale ed effettivo. Senza sottovalutare la pericolosità di queste forme di conflitto, tuttavia, anche l’uso indiscriminato del termine “guerra” offusca i termini della questione e in definitiva aiuta l’aggressore – il terrorismo – drammatizzando la situazione e nobilitando il nemico
D: Nel caso della guerra iniziata dall’autoproclamato califfato dell’ISIS in medio oriente, si tratta di conquista e occupazione di un territorio, la creazione di una nuova nazione o di altro?
È una nemesi, anzi tre:
1. gli americani e tutto l’Occidente stanno pagando l’avventurismo e gli errori della guerra contro l’Iraq del 2003, attuata da Bush Jr. per cause psicanalitiche piuttosto che per le armi di distruzione di massa e per l’appoggio di Saddam Hussein ad Al Qaida – entrambi cause non soltanto non vere, ma già allora non verosimili.
2. Ingiustamente oggi paga più di tutti la Francia, il paese che coraggiosamente si era opposto alla decisione insensata del Regime Change tramite bombardamenti pianificato a Washington
3. Truppe e quadri di Isis sono forniti dallo sbandamento delle forze armate e della polizia irachena catastroficamente attuato dagli americani nel 2013. «Strano», commentò poi il governatore Bremer, «in Germania nel 1945 aveva funzionato.» Quanto all’Isis, deriva dall’essere militari di professione la loro strategia – in antitesi ad Al Qaida – di identificare il proprio progetto di califfato con un ordinamento politico e con un territorio. Questa è la loro forza, ma offrendo agli avversari uno spazio difendibile e attaccabile, potrebbe diventare la loro debolezza. Tutto dipende dalla saggezza real-politica – finora scarsa – dei governi occidentali nel compiere le prime mosse.
D: Esiste una risposta alternativa all’intervento militare?
Rischia di essere tardiva, comunque la via maestra è la politica. Non c’è bisogno di essere alternativi, basterebbe essere razionali: una deliberazione unanime del Consiglio di sicurezza dell’Onu, l’accordo tra Usa e Russia, un ruolo per i paesi che contano a livello regionale, primo fra tutti l’Iran. Fare il vuoto intorno ai terroristi, in tutti gli ambiti a cominciare da quello commerciale e finanziario – c’è voluto uno che la sa lunga come Putin per dirlo chiaro e tondo al G20. Sul campo risparmiare i dollari per i combattenti che vorremmo ci fossero, ma non ci sono: la fantomatica opposizione democratica e musulmana moderata ad Assad. Sostenere chi sul campo già ci sta e ha dimostrato di volerlo e saperlo fare: milizie curde e milizie sciite. Non allargare il raggio dell’intervento militare coinvolgendo l’Italia dei bombardamenti in Siria o, peggio ancora, in Libia. Pianificare una seria e non retorica prevenzione dell’odio anti-occidentale, innanzitutto all’interno dei paesi europei. Quest’ultimo obiettivo è perseguibile mediante un piano sistematico di inclusione sociale per le seconde generazioni di immigrati musulmani, onde evitare altre banlieue e simpatie estremiste in alcuni soggetti più vulnerabili, destinatari privilegiati della propaganda e del reclutamento delle organizzazioni terroristiche.
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::autore_::di Massimo Predieri::/autore_:: ::cck::894::/cck::