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Le organizzazioni africane che perorano la giustizia climatica, hanno criticato i Contributi previsti e determinati a livello nazionale…
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Col permesso dell’Autore e dell’Editore pubblichiamo questo articolo, già pubblicato su OtherNews www.other-news.info/noticias/2015/10/cambio-climatico-la-carrera-contra-el-reloj/
NAIROBI, 10 novembre 2015 (IPS) – Le organizzazioni africane che perorano la giustizia climatica, hanno criticato i Contributi previsti e determinati a livello nazionale (INDC – Intended Nationally Determined Contributions) presentati da paesi del Nord e del Sud per controllare l’aumento delle temperature, considerandoli “deboli, inadeguati e poco ambiziosi”.
“Se si studia con attenzione ciò che hanno inviato paesi industrializzati come Russia, Stati Uniti o l’Unione Europea, rispetto alle nazioni povere, sarà chiaro che gli obiettivi massimi sono stati spostati in modo che l’Africa sopporti i costi di mitigazione e adattamento” ha sottolineato Sam Ogallah, program manager del Pan African Climate Justice Alliance.
Questo “viola il principio di responsabilità comune, ma differenziata, e la rispettiva capacità dell’UNFCCC (Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici)”, ha detto Ogallah, dell’istituzione che riunisce più di 1.000 organizzazioni africane che condividono lo stesso obiettivo di giustizia climatica.
Nei precedenti negoziati dell’UNFCCC, i paesi hanno deciso di rendere pubblici i contributi nazionali per mitigare e adattarsi alla variabilità climatica, conosciuti come INDC, nel loro acronimo in inglese.
Poco dopo il termine ultimo per la presentazione degli INDC, alcune organizzazioni africane si sono espresse sulla preoccupazione che i paesi ricchi, responsabili del riscaldamento dell’atmosfera, sfruttino le nazioni più povere che già soffrono le conseguenze del fenomeno.
Secondo il rapporto “Distribuzione equa: Rassegna degli INDC della società civile” di Oxfam International, dell’Alleanza e di altri partner, vi è un enorme divario tra ciò che è necessario per prevenire il cambiamento climatico e le proposte presentate dai paesi.
Le ambizioni dei paesi più ricchi non riescono a coprire la propria quota parte, che non solo comprende azioni locali, ma anche i contributi finanziari a terzi.
La valutazione di una giusta ripartizione ha utilizzato una “gamma di equità”, tenendo conto delle responsabilità storiche e considerando l’impatto dei paesi nel cambiamento climatico in termini di emissioni cumulative da una data fissata.
Ha inoltre preso in considerazione la capacità delle nazioni di attuare azioni climatiche, utilizzando il reddito nazionale posto in relazione con il necessario per garantire standard di vita di base, come indicatore principale.
Secondo la valutazione, gli INDC della Russia rappresentano un contributo alla ripartizione equa nullo; quelli del Giappone, una decima parte, mentre quelli di USA e UE, circa un quinto.
“Non è una tendenza giusta, nega l’uguaglianza e la giustizia, ma non dimentichiamo che siamo tutti sulla stessa barca del cambiamento climatico, paesi in via di sviluppo e paesi ricchi e, quando si affonda, affondiamo insieme”, ha detto Ogallah.
La maggior parte dei paesi in via di sviluppo si sono impegnati in azioni di mitigazione che coprono o superano la loro quota, ma hanno anche un potenziale che eccede i propri impegni e la distribuzione equa.
Fra questi spiccano Kenya, Isole Marshall, Cina, Indonesia e India. Gli INDC del Brasile rappresentano poco più di due terzi della sua giusta quota.
Il Kenya, ad esempio, si è impegnato a espandere le sue fonti di energia alternative, come la geotermica, l’energia solare ed eolica, fra le altre opzioni rinnovabili e pulite, come un modo per mitigare il riscaldamento globale.
In meno di un anno dopo che il presidente Uhuru Kenyatta aveva ordinato la costruzione di due impianti geotermici per una potenza complessiva di 280 megawatt, il Kenya è diventato l’ottavo fornitore di questa fonte di energia con una capacità totale installata di 585 megawatt, che rappresentano il cinque per cento della produzione geotermica mondiale, secondo il Consiglio mondiale dell’energia geotermica.
Questo paese cerca anche di espandere la sua copertura arborea del 10 per cento e di promuovere l’agricoltura climaticamente intelligente, come previsto nel suo Quadro Nazionale di Agricoltura Climaticamente Intelligente.
Anche l’India e l’Indonesia hanno superato la loro quota nell’impegno a mitigare gli effetti del riscaldamento globale attraverso la produzione di energia pulita, di misure di conservazione della natura e dell’effettivo smaltimento dei rifiuti.
L’accordo che sarà raggiunto in sede di Conferenza delle Parti (COP21) della UNFCCC, che si terrà dal 30 di questo mese all’11 dicembre a Parigi, sarà giudicato in base a tre criteri principali, ha spiegato Ed Pomfret, direttore mondiale della campagna CRESCERE di Oxfam.
In primo luogo, essi devono essere aggiunti agli INDC e ci vuole una crescente disponibilità dei governi a riconoscere la mancanza e l’ingiustizia degli sforzi collettivi e individuali.
Sono necessari anche impegni con i meccanismi del nuovo accordo che garantiscano che i governi elevino le proprie ambizioni secondo chiari principi di uguaglianza nei prossimi anni.
Pomfret ha anche rilevato la necessità di fornire più risorse finanziarie, tecnologia e capacity building per sostenere i paesi in via di sviluppo nel mitigare e adattarsi ai cambiamenti climatici e ad affrontare perdite e danni.
Mentre organizzazioni africane raddoppiano le proprie aspirazioni, alcuni governi hanno respinto la nozione di “quota equa”, criticando la singolarità delle proprie “circostanze nazionali” particolari ed il loro “diritto” a determinare il proprio livello di ambizioni climatiche.
Ma secondo l’Alleanza, “giustizia, imparzialità ed equità nei prossimi negoziati di Parigi non sono negoziabili”, ha detto Ogallah. “La sopravvivenza delle generazioni presenti e future dipende in gran parte dal risultato, mai ci si perdonerà se non facciamo bene”, ha detto all’IPS.
Le organizzazioni della società civile africana pianificano di raddoppiare la pressione sui paesi ricchi durante i negoziati di Parigi per assicurarsi che assumano la responsabilità delle proprie azioni e si facciano carico delle ingiustizie storiche.
“Non abbiamo altra scelta che lavorare per salvare il pianeta”, ha chiosato Ogallah.
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::autore_::di Isaiah Esipisu::/autore_:: ::cck::898::/cck::