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La paura fa novanta. Nell’antico detto che richiama la cabala, in senso figurato e ironico, si vuol significare che sotto lo stimolo della paura si fanno cose che sembrerebbero impensabili in condizioni normali.
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La paura fa novanta. Nell’antico detto che richiama la cabala, in senso figurato e ironico, si vuol significare che sotto lo stimolo della paura si fanno cose che sembrerebbero impensabili in condizioni normali. Si pensi anche al senso di paura che si sostanzia nell’aver paura della propria ombra, avere paura anche a respirare, aver paura di tutto.
E’ in questo quadro che si trova non il senso che non c’è, ma almeno una parvenza di esso, di quanto accade e potrebbe accadere nella nostra quotidianità. La prima reazione dinanzi all’ennesimo, orribile atto contro l’umanità che ha colpito Parigi, che ieri ha colpito l’Egitto, la Russia, il Libano, la Turchia e che ogni giorno miete vittime in molte parti di quell’area del mondo che fu la culla della civiltà antica, è senza dubbio la paura. Un sentimento sordo, insensato, ma estremamente reale che come dice il significato del detto antico sopracitato spinge a fare cose che sembrerebbero impensabili in condizioni normali.
Paradossalmente – è solo un’astrazione – potrebbe anche essere la paura del castigo divino – o di quello più terreno dei tagliagole se si torna avendo fallito – a produrre lo straniamento che si nota in quanti decidono di compiere attentati o di darsi al “martirio” purtroppo accompagnandosi a moltitudini di innocenti che essi non conoscono o che hanno conosciuto nella loro “normalità”.
Altri in queste pagine si occupano dell’attentato, delle mille vie di analisi e di comprensione di un fenomeno pericoloso ed insidioso e delle reazioni della comunità internazionale. Militari ovviamente, sempre troppo tardi rispetto alla conoscenza del fenomeno e politico-sociali nel tentativo di estirpare la mala pianta del terrorismo lasciando in piedi e sana la convivenza ormai ineludibile tra genti, culture e credenze diverse ma non inconciliabili.
Quel che ci tocca più da vicino è capire, nella nostra Italia, che cosa vuol dire reagire a quanto accaduto nella capitale francese e al rischio che fatti simili possano accadere anche da noi.
Genuina e nel cuore la reazione dolorosa e straziata dinanzi a nostri simili di ogni colore, a possibili amici, a figli, fidanzati, colleghi la cui vita è stata stroncata mentre sorbivano un caffè o si concedevano il “lusso” di una cena fra amici nel fine settimana nello scenario “normale” di una grande città fatta però di tanti piccoli angoli. Da ignorare la limacciosa ed ignobile congerie di affermazioni razziste, di sostegno trasversale ai terroristi che pure scorre nel tessuto malato di certe periferie dell’anima.
Il problema, però, è sempre davanti a noi e ci chiede di prendere una posizione, non soltanto di immaginare un mondo più giusto e pacifico. E soprattutto di capire che cosa deve significare giusto e pacifico per tutti ben sapendo che il senso di questa espressione ha purtroppo molte declinazioni differenti se guardiamo a quel che succede in troppe parti della Terra oggetto di sfregio, di violenza e di orrore dell’uomo contro l’uomo. Ma anche nelle nostre periferie abbandonate a se stesse.
E’ proprio qui, come dice il titolo di quest’articolo, il nocciolo: chiarezza ed unità. L’Occidente, e in esso il nostro paese, ha molte responsabilità nello stato del mondo. Non siamo i soli ad avere questo fardello ma certo ne abbiamo una buona parte e spetta a noi fare scelte capaci di spezzare il meccanismo pavloviano che alla violenza si risponde solo con la violenza. Senza dimenticare però che la violenza si alimenta nel disinteresse, nel voltare lo sguardo dall’altra parte, nell’essere caritatevoli ma pensando che sarebbe meglio che certa gente se ne stesse a casa sua anche se non ha più una casa. Il bambino che muore su una spiaggia mentre con la famiglia tentava di salvare la propria esistenza dalla miseria e dal dolore, sua madre e suo padre spesso periti cercando di salvarlo e di lasciarlo sulla sabbia alla pietà degli altri, non sono terroristi e non sono nemmeno suoi sostenitori. Terroristi sono coloro – accadde anche nella stagione di piombo in Europa – quei giovani (purtroppo) cresciuti, educati, formati nelle nostre scuole ed università, spesso amici e fidanzati delle nostre donne, che con consapevole schizofrenia decidono o vengono indotti ad agire in un dato momento. Questo è il nemico contro il quale deve attivarsi quella che Oriana Fallaci definiva “la rabbia e l’orgoglio” della nostra civiltà. Li definiamo sovente figli della nostra cultura di tolleranza e contro di essa si scagliano senza pietà.
Non sono diseredati e ultimi della terra. Come sempre accade per chi sceglie il terrorismo, sono privilegiati e molto spesso “creme de la creme” dei loro paesi, quanti cioè possono scegliere di venire da noi, non sono costretti se non in minima parte.
Ecco allora che la chiarezza su cosa abbiamo davanti, su cosa ci attacca è necessaria per evitare confusioni, sovrapposizioni e facili populismi xenofobi. Sull’onda dell’emozione tutti si dicono uniti contro il vero nemico, ma pochi giorni dopo e sino al nuovo attacco, cominciamo con i distinguo e con l’attribuire ad altri la responsabilità della nostra sicurezza e la colpa se accade qualcosa. Questa è la strada sbagliata. Già a 48 ore dalla tragedia parigina, si avvertiva il sapore acre di questa sindrome dalla quale occorre rifuggire.
La sicurezza è compito di ognuno di noi, nel suo piccolo, nella sua quotidianità. Forze dell’ordine e militari sono necessari ed ineliminabili, ma non possono garantire ognuno di noi. Non dobbiamo lasciarci andare né al furore incontrollato ed iconoclasta e neppure al buonismo di maniera fondamentalmente egoista e “not in my backyard”. Il compito che ci attende è complesso e difficile. Ma è nell’unità delle coscienze di chi vuol riaffermare i valori di libertà, di convivenza e di reciproco rispetto contro la barbarie che trova forza.
Ma attenzione: non è un compito che una volta fatto… capo ha! E’ un impegno senza sosta e senza fine che ci deve accompagnare ogni giorno, ogni ora, ogni attimo, in ogni nostro gesto quotidiano. Chi ci attacca ha paura della normalità, della quotidianità, della libertà, della tolleranza, dell’amicizia. Sono sentimenti potenti che per costoro sono veleno. Per noi un’arma infallibile. Ci vorrà tempo ma uniti e consapevoli potremmo avvelenare il brodo di coltura nel quale si alimentano e stroncare il fenomeno.
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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::895::/cck::