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Il decreto “Salvabanche” ha creato uno shock nel nostro paese, tradizionalmente tra i più conservatori in tema di risparmio ed utilizzo delle banche.
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Il decreto “Salvabanche” ha creato uno shock nel nostro paese, tradizionalmente tra i più conservatori in tema di risparmio ed utilizzo delle banche.
Le derive mediatiche hanno generato confronti, dossier e polemiche, con l’intervento in materia del Presidente della Repubblica Mattarella, che ha espresso con fermezza il rispetto della Costituzione in tema di tutela e valorizzazione del risparmio.
I possessori dei bond subordinati, Grecia, Parmalat, Cirio e Argentina, vengono richiamati come protagonisti di cronache che hanno lo stesso comune denominatore: risparmio e obbligazioni.
La percezione che un’obbligazione sia più sicura rispetto ad un’azione è nel dna di tutti i risparmiatori del mondo, ma i confini dei rischi che si corrono sono molto meno conosciuti rispetto all’universo dei titoli che sono presenti sul mercato.
Il titolo di Stato è, in partenza, la forma più semplice di obbligazione, che si sostanzia in un prestito che un individuo compie, nei confronti di un emittente pubblico (lo Stato ndr), acquistando di fatto un pezzo di debito dietro la promessa di pagamento di un interesse.
L’interesse è, di norma, parametrato in funzione dell’affidabilità dell’emittente (il rating che va dalla tripla “AAA”, al quale si associa massima affidabilità, fino alla “D” che significa “default”), dalla scadenza del titolo (più è lunga la scadenza maggiore è l’interesse e il rischio), ai tassi vigenti al momento del collocamento.
La complessità inizia quando le varie forme delle obbligazioni e dei vari interessi dipendono da molteplici variabili, come i tassi di mercato, le valute o gli andamenti di indici e inflazione, con le conseguenti fluttuazioni dei prezzi e difficoltà di comprensione della rischiosità e natura.
Quanti sono in grado di comprendere la differenza tra un’obbligazione “senior” e una “subordinata”?
Tra i malcapitati possessori dei bond subordinati, che hanno visto azzerato il proprio valore, molti erano dipendenti delle stesse banche, a conferma della mancata cultura e scolarizzazione finanziaria degli operatori che poi vendono allo sportello questi strumenti.
Le regole a tutela del risparmio, di cui si dibatte in questi giorni, sono già molto variegate e precise, frutto di un’evoluzione normativa che l’Europa ha sviluppato negli ultimi dieci anni.
Evoluzione che non va di pari passo con il conflitto di interessi degli operatori allo sportello, costretti per ragioni di budget a presentare risultati di vendita ai loro superiori referenti, con l’ovvio risultato di bypassare le spiegazioni e le caratteristiche dei servizi finanziari offerti alla clientela.
Anacronistico potrebbe essere il divieto, acclamato da alcuni, di sollecitare la vendita di servizi finanziari da parte delle banche, in un paese dove il credit crunch (stretta del credito alla imprese) rimane il problema più difficile da risolvere, nonostante la politica accomodante della BCE (Banca Centrale Europea).
La difficoltà di ricorrere al mercato dei capitali da parte delle piccole imprese, con l’emissione di prestiti obbligazionari, ha di fatto ritardato di molto la ripresa economica nel nostro paese, a dimostrazione che il tentativo di tutelare il risparmio, impedendo il finanziamento da parte dei piccoli risparmiatori alle imprese non quotate, ha avuto un effetto eccessivamente protezionistico per l’economia italiana.
In un mondo che cambia, lo Stato può avere il compito di introdurre corsi di formazione finanziaria nelle scuole dell’obbligo, così come i cittadini hanno la responsabilità di informarsi e prendere le opportune tutele per effettuare delle scelte assennate.
Disciplinare con buon senso, ricerca della trasparenza, con delle semplici raccomandazioni sulle regole da seguire per tutelare i risparmiatori:
1) diversificare, ossia non concentrare tutto il proprio risparmio su di un unico strumento o banca;
2) sottoscrivere solo strumenti che sono stati spiegati e ben compresi;
3) ricordarsi del conflitto di interessi di chi propone strumenti finanziari emessi dallo stesso datore di lavoro;
4) evitare l’avidità, a un interesse più alto corrisponde sempre un rischio maggiore.
Possiamo migliorare le informazioni, le regole, gli arbitri e la vigilanza, ma è sempre l’individuo che compie le sue scelte e gioca la propria partita.
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::autore_::di Gianluca Di Russo::/autore_:: ::cck::986::/cck::