Le settimane trascorrono e ci avvicinano all’appuntamento elettorale delle amministrative. Un appuntamento affatto secondario e localistico per l’importanza delle città e dei comuni coinvolti.
Le settimane trascorrono e ci avvicinano all’appuntamento elettorale delle amministrative. Un appuntamento affatto secondario e localistico per l’importanza delle città e dei comuni coinvolti. Un’occasione importante per misurare lo stato di salute del sistema democratico del paese e in modo particolare quello delle forze politiche, dei movimenti, dei rassemblement reali o solo elettorali che stanno man mano prendendo forma. Soprattutto, però, per analizzare quanto la politica passata tra le forche caudine degli ultimi anni di crisi, sia in grado di rappresentare e per ciò stesso comprendere il paese, le sue esigenze, le sue priorità
La prima sensazione, per chi non voglia nascondersi dietro paraventi di comodo, non è delle migliori. Non si può negare che il messaggio politico stia cambiando, sia in evoluzione continua, ma pensare che abbia raggiunto la complessità del paese e si sia sintonizzato sulla sua lunghezza d’onda, è tutt’altro discorso. Il nodo non è soltanto nella politica, ma è anche nel tessuto sociale del paese. Troppi mutamenti, troppe emergenze continue, troppi strappi, hanno creato un tessuto frazionato, dove le parole della politica faticano a trovare accoglienza. Sono in primo luogo le giovani generazioni quelle che appaiono più refrattarie e perciò stesso meno comprensibili e più bisognose invece di input positivi. E qui appare uno dei principali motivi di crisi: la politica in questi decenni succeduti alla fine della prima repubblica ha dimenticato le giovani generazioni. E questo non soltanto in termini sociali, economici e via dicendo. Ma proprio in termini politici. Assistiamo cioè al risultato dell’assenza di formazione politica nel corso degli ultimi due decenni e questo mentre la condizione nazionale nel suo insieme è peggiorata e si è assistito ad una evoluzione (a volte verrebbe da pensare involuzione, ma rifuggiamo da questa deriva!) verso costumi e comportamenti che hanno letteralmente deresponsabilizzato i giovani. L’aggravante sta poi nel consegnare loro un sistema più ristretto, una realtà più rigida. Non a caso si dice che dopo i decenni del boom siamo dinanzi alle prime generazioni la cui situazione sociale ed economica sarà peggiore di quelle che le hanno precedute. E questo nonostante le grandi prospettive che si possono aprire nei campi dell’innovazione, unico motore che sembra attivo e in movimento, mentre gli altri borbottano e sbuffano.
Davanti a questa situazione, qual è la risposta che la politica è in grado di dare e soprattutto quanto i giovani partecipano a questa dinamica che poi li riguarda da vicino per le scelte future? Se la domanda è chiara, le possibili risposte non lo sono affatto. E anche guardando all’intero sistema sociale, non appaiono molte le certezze possibili.
La considerazione principale è che nulla ha preso il posto dei vecchi partiti e nulla sembra avere la capacità di occuparne lo spazio. L’assenza di amalgama, di ragioni da condividere vede un paese disorientato dove le criticità hanno più una funzione di detonatore che non quello di sfide da affrontare. Mancano parole comuni, per orizzonti condivisibili, ogni parola, ogni gesto vengono guardati con sospetto, scarnificati alla ricerca dell’inghippo. La cultura del sospetto e del complotto sembrano aver raggiunto il culmine così come è al minimo la credibilità complessiva.
Tuttavia, come se niente fosse, la dialettica politica sembra più una canizza da azzeccagarbugli o una serie di coup de théâtre, piuttosto che la trama di un discorso complesso e variegato ma coerente. Accade così che su temi etici come quello delle unioni civili si assista a battute volgari, a giudizi degni di miglior causa, a forzature. Tutto meno che spiegare quale sia il nocciolo delle decisioni che il Parlamento si appresta ad assumere. La gente assiste, ascolta, ma non riesce a decifrare altro che quello che può interessare da vicino, non il senso complessivo di un’evoluzione del costume sia condivisa che criticata. Niente di tutto questo.
Sul fronte che ci ha mosso, quello delle amministrative, se possibile la confusione è ancora più profonda. E per una ragione semplice: appare quasi impossibile alle stesse forze politiche avere piena coscienza di quello che vogliono e debbono essere. Ecco allora che invece di avere linee d’azione comprensibili, coerenti e condivise dal più ampio ventaglio possibile di posizioni, assistiamo al moltiplicarsi di liste personali, di liste civiche, in un certo senso allo scomporsi e allo scomparire delle idee una volta considerate forti senza che ne emergano di altrettante capaci di incidere e convincere. Un destino che accomuna sia le realtà più ampie come il Pd in una fase di forte crisi e alla ricerca di una nuova coesione, mentre alla sua sinistra si cerca ancora una volta di perseguire quello che fu sempre la chimera di una forza a sinistra del Pci: ma anche aree in crisi invece più accentuata come il centrodestra e l’area di quel centro che appare come l’araba fenice. Per non parlare dello sfilacciarsi dei cinquestelle alle prese con lo sforzo dell’ingresso “nelle” istituzioni dopo averle combattute e criticate ma senza poterle eliminare per tentare di andare al governo.
La domanda allora è: chi vuole rappresentare e che cosa per affrontare le mille questioni aperte nelle nostre grandi città e in tutti i comuni. I problemi sono chiari, sedimentati da anni, le emergenze protratte nel tempo, ogni cittadino sa indicare qualche semplice soluzione, ma nessuna politica sembra in condizioni di seguire questa semplicità e risolvere. Ecco la parola; risolvere!
E quel che aumenta, invece di risolversi, è la distanza tra chi deve amministrare e chi deve esserlo e questo nell’epoca delle nuove tecnologie, che accorciano, semplificano, dovrebbero contribuire a sciogliere le complessità e a trovare soluzioni rapide ed efficaci.
di Roberto Mostarda