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Affermare che la parola di questa settimana sia un neologismo o che appartenga al presente confuso che viviamo non è soltanto poco corretto ma soprattutto è stupido e ignorante.
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Affermare che la parola di questa settimana sia un neologismo o che appartenga al presente confuso che viviamo non è soltanto poco corretto ma soprattutto è stupido e ignorante. Essa rappresenta infatti l’essenza stessa di una parte non indifferente del comportamento e dell’agire umano sin dalla più remota antichità e dalle prime espressioni della civiltà (in questo caso deteriore) dell’uomo. E’ qualcosa che accompagna il nascere stesso della organizzazione anche elementare della convivenza e poi della costruzione di un “potere” che la governi o la controlli a seconda delle direzioni che essa prende nel concreto attuarsi della condivisione tra esseri umani di idee, progetti, società.
Dunque una parola antica come l’uomo il cui segno negativo accompagna da sempre il suo cammino e contro il quale hanno combattuto e combattono in tanti, la maggioranza, ma che come una nemesi e una fenice poco accetta rinasce sempre dalle sue stesse ceneri,
Parliamo della corruzione. Termine, come molto spesso accade, di derivazione latina da corruptio nel senso di corrumpĕre in italiano «corrompere».
Il primo e prevalente significato è quello del corrompersi, dell’essere corrotto. Qui incontriamo anche in modo plastico l’essenza della parola, ovvero nel senso di decomposizione, disfacimento, putrefazione e simili amenità che fanno parte della caducità dell’essere umano e delle sue realizzazioni.
Ancora si intende con corruzione il guastarsi, il degenerare il più delle volte usato per indicare questo disfacimento soprattutto in senso morale di individui, società, sistemi. Ma anche si dice della lingua quanto entra in contatto e si contamina con altri idiomi. Sempre rimanendo su questa puteolente realtà , con questo termine si indica anche il contagio, il trasmettersi cioè di malattie, di virus, di agenti patogeni in genere, in campo sanitario e per estensione di ogni cosa che “contagia” appunto e corrompe qualcosa.
Corruzione ha anche un senso attivo, indicando l’opera di chi induce altri al male. In particolare nel linguaggio giuridico. Così ad esempio quella del pubblico ufficiale di chi commette delitto contro la pubblica amministrazione consistente nel dare o promettere denaro o altri vantaggi a rappresentante delle istituzioni perché egli ometta o ritardi un atto del suo ufficio o compia un atto contrario ai doveri di ufficio, cosiddetta propria oppure perché compia un atto del suo ufficio, cosiddetta impropria. Naturalmente e specularmente esiste anche la corruzione negli ambiti dell’impresa, delle organizzazioni tra privati e via ampliando un disvalore che appartiene lo dicevamo alla stessa realtà fallibile dell’uomo.
Dinanzi alla corruzione deve sempre esserci una reazione dura e moralmente integra, ad essa occorre opporsi con tutte le forze e con tutti i sistemi legalmente accettabili, ricordando sempre che tutto nasce dalla “corruttibilità” umana.
Non può dunque destare scalpore l’ultimo esempio di corruzione praticata, tentata o che emerge dalle indagini, nell’ultimo (but non least ne possiamo essere sicuri) scandalo che è esploso in Basilicata sulla questione petrolifera e che ha travolto il ministro per lo sviluppo economico creando un’onda lunga contro lo stesso esecutivo. Siamo tristemente nell’alveo di sempre, dell’uso improprio e deviato di influenza politica od economica, di pressioni non lecite per ottenere vantaggi, posti di potere o favori per qualcuno, distorcendo il mercato, il normale confronto e il suo dispiegarsi secondo le regole generalmente accettate.
Quel che però appare ridicolo (quasi una lacrima di coccodrillo) e che accomuna disonesti in primis e onesti, è lo stupore e l’indignazione postuma per situazioni che ogni giorno ci toccano da vicino, dalla richiesta di un documento alla pubblica amministrazione al “piccolo” favore che chiediamo ad un “amico” per non attendere qualcosa. Piccoli gesti che si trasformano in valanghe quanto più cresce il peso di quel che si chiede si vuole ottenere.
Naturalmente è saggio, opportuno e morale, essere sempre contro la corruzione e non indulgere neppure alle manifestazioni minimali di essa che è appunto come un contagio irrefrenabile.
Con un’altra consapevolezza che non deve mai mancare ad ognuno: sapere che non esiste il cattivo (il corruttore) e il buono (colui che si fa corrompere), ma soltanto due facce della stessa medaglia. Non esiste cioè corruzione se manca uno dei due elementi del teorema. Di conseguenza esiste per chi viene toccato da un tentativo di corruzione sempre la possibilità di non accettare, di non piegarsi, di opporsi e anche di denunciare.
Se si rinuncia ad uno di questi atti, si favorisce la corruzione tentata, minacciata, blandita. Ricordando un anatema morale possiamo dire che questo è un classico caso nel quale vige il monito “chi è senza peccato, scagli la prima pietra”. Non è un invito a mostrarsi puri e in grado di agire in tal senso, ma un richiamo alla nostra coscienza tanto più forte quanto più piccolo sia il nostro difetto, perché è proprio quello che non vediamo e non ammettiamo ad essere difficile da scovare.
Dunque, meno stupore ipocrita e molto più vigilanza dal piccolo al grande, ogni giorno, per ogni atto, per ogni gesto che compiamo. Le leggi e tribunali sono necessari, ma la corruzione attacca per primo l’individuo, nel suo intimo ed è lì che occorre fare la prima battaglia!
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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::1211::/cck::