Una domanda per cominciare. Quale delle soluzioni che vengono prospettate per rilanciare e ammodernare il sistema Italia ha la probabilità di essere risolutiva?
Una domanda per cominciare. Quale delle soluzioni che vengono prospettate per rilanciare e ammodernare il sistema Italia ha la probabilità di essere risolutiva? Risposta senza tentennamenti: nessuna! Il passare dei decenni ha dimostrato soltanto che seguendo ora l’una ora l’altra scuola di pensiero, il paese ha perso smalto, ha perso terreno, ha perso potenzialità! E, soprattutto, il combinato disposto di esse ha funzionato da freno ad ogni serio tentativo di riforme, costringendo a ricominciare sempre da capo ad ogni mutamento di governo o di maggioranza. Un meccanismo che negli ultimi due decenni è divenuto parossistico di pari passo all’accentuarsi della diversità di impostazione e di vedute politiche ed economiche che si sono confrontate. Ulteriore danno, l’affermarsi di portatori di certezze apodittiche, irrazionali quanto dogmatiche e, quasi sempre irrealizzabili. Il governo di un paese malgrado tutto avanzato come l’Italia, pur nelle sue gigantesche contraddizioni, ha bisogno di una sintesi intelligente, di risposte semplici e analitiche ai problemi complessi ed intrecciati. La comprensione di soluzioni praticabili ma incisive è necessaria ed opportuna da parte del popolo italiano per assumere poi in libertà e democrazia le scelte anche politiche che lo aspettano e che dovrebbero favorire con semplicità la prevalenza dell’onestà sulla disonestà, dell’efficienza sul parassitismo, della capacità di intrapresa sul clientelismo senza futuro ed ipoteca su ogni crescita vera e robusta.
Il quadro nel quale ci si muove mostra invece una totale assenza di capacità di sintesi, un continuo confronto-contrapposizione e nonostante la conclamata fine delle ideologie, ancora ci si combatte con slogan altisonanti, divisivi e discriminatori: di qui gli onesti, di là i disonesti; di qui i riformatori, di là i conservatori; di qui chi ha a cuore l’occupazione, le pensioni, il welfare (il caro buon welfare di una volta oggi insostenibile) e di là chi vuole solo sfruttare, produrre a basso prezzo, realizzare profitti senza redistribuzione. Parole d’ordine tanto più proclamate quanto inutili o al più utili a fomentare qualche protesta, riportare sempre qualche centinaio di irriducibili in piazza per riaffermare le sorti e progressive di sempre o la necessità di riportare indietro l’orologio. Una deriva che sembra contagiare un ampio spettro di formazioni politiche o di gruppi interni ad esse. Risultato, continua senza speranza la perdita di tempo, di occasioni, di possibilità di far ripartire davvero il paese. La classe politica sembra incapace di concepirsi come qualcosa di produttivo e di evolutivo. Sembra inchiodata alla ripetizione ottusa di un copione vecchio e improduttivo. Nel nostro paese l’egoistico contrapporsi di gruppi, formazioni vecchie e nuove, sembra aver rovesciato la famosa espressione “la politica è l’arte del possibile” in un inutile “tecnica dell’impossibile”. L’avvicinarsi delle amministrative sta facendo emergere tutto questo e lo scenario è difficile da interpretare ma piuttosto deludente! Non si parla dei problemi concreti di grandi, medie e piccole città, ma dell’eliminazione del nemico per poi realizzare programmi fantasmagorici, nel vuoto della democrazia e della politica che ciò comporterebbe. Si continua in sostanza a pensare di risolvere questioni secolari, decennali, incrostazioni sociali, disfunzioni, corruttele e via dicendo, con slogan certamente altisonanti e che riscaldano gli animi, ma là fuori, per le strade, negli uffici, nelle fabbriche, onestà, rigore e libertà si conquistano ogni giorno e sarebbe bene che ogni tanto qualcuno se ne ricordasse non negli slogan ma nelle proposte concrete. Il segno di questa paludosa degenerazione è il moltiplicarsi di denunce, inchieste giudiziarie e simili. La magistratura deve fare il suo lavoro e non può sottrarsi certo ad accertare quanto ad essa viene sottoposto o è frutto di precise linee di indagine. Ma la sensazione è che si addossino ad essa compiti di supplenza politica e amministrativa da ormai troppo tempo, forzandone il ruolo sino a snaturarlo, come dimostra l’ultimo episodio avvenuto nel Csm dove un togato in un’intervista poi smentita, ma comunque dal contenuto preoccupante, avrebbe teorizzato la necessità di fermare il premier e il governo sul fronte delle riforme costituzionali in vista del referendum. La reazione di distinguo dell’organismo e la marcia indietro del magistrato, non mutano la realtà dell’accaduto che manifesta una gravità mai verificatasi. Si parla di bloccare riforme costituzionali, non di far emergere malaffare. Siamo dunque lontani in modo siderale dall’equilibrio dei poteri di classica scuola. Ai tempi dell’ex cavaliere si sarebbe parlato di ingerenza inaccettabile, oggi con maggior savoir faire si cerca di mantenere la calma e di rispettare ruoli e competenze, ma il sistema è lungi dal tornare in equilibrio perché il virus giustizialista continua a fare danni superiori ai benefici che promette! E i suoi trasmettitori non hanno minimamente perso la loro virulenza anzi più si cerca di ragionare più si abbarbicano alle loro stolide certezze che non possono e non debbono essere messe in discussione, pena la possibilità di farne finalmente a meno per il bene del paese, della democrazia e delle nostre libertà! La strada, però, è ancora lunga e accidentata! Un’ultima riflessione. Qualche tempo fa il presidente iraniano osservò che nel suo paese chiese, moschee e sinagoghe potevano stare una accanto all’altra pacificamente, dimenticando però che nessuna chiesa o sinagoga nuova si potrebbe costruire in quel paese, con ciò inficiando la prima affermazione di libertà civili e religiose. Oggi, nel nostro paese i magistrati intervengono in ogni aspetto della vita, esprimono opinioni sulla politica, sull’amministrazione, sull’etica dei politici, lanciando anatemi. È certamente una libertà democratica irrinunciabile e non è pensabile comprimerla. A meno che l’opinione non violi la terzietà del giudice. Solo che non è permesso ad alcuno criticare la mancanza di questa terzietà, esprimendo cioè liberamente un’opinione, perché si rischia anche di essere accusati di attentato all’indipendenza della magistratura. Ecco, sommessamente, sarebbe opportuno correggere questa stortura e permettere di distinguere sempre e comunque il magistratro-cittadino dal magistrato-magistrato! La responsabilità primaria di questa chiarezza spetta a tutti i cittadini certo, ma in primo luogo a chi esercita l’alto ruolo di giudice e proprio per garantire e rafforzare quella che una volta si definiva, forse esagerando ma con efficacia, sacralità di chi applicava la legge e amministrava la giustizia! Oggi, purtroppo, qualche perplessità appare legittima!
di Roberto Mostarda