Chi scrive porta con sé l’onore e il dolore di una perdita familiare che si intreccia con la fine della guerra e la Liberazione e la cui testimonianza plastica è un nome che si trova sul grande muro di mattoni rossi…
Chi scrive porta con sé l’onore e il dolore di una perdita familiare che si intreccia con la fine della guerra e la Liberazione e la cui testimonianza plastica è un nome che si trova sul grande muro di mattoni rossi che nel cimitero monumentale di Roma, il Verano, ricorda le migliaia di cittadini romani deportati e che hanno perduto la vita nei lager nazisti in ragione della loro religione, del loro appartenere alle forze armate, o ai mille rivoli spesso insensati con i quali la violenza si scatenò alla fine e colpì indiscriminatamente chi non appoggiava il regime ormai alla fine.
Una premessa opportuna per sgombrare il campo da ogni malinteso e da ogni pregiudizio di qualsiasi genere! E’ anzi proprio per onorare quella memoria, quel sacrificio come quello di altre centinaia di migliaia di italiani, dai quale sono derivati i grandi valori e i principi della nostra Costituzione, che sembra giunto il momento di dire basta ad ogni forma di oscurantismo, di rozzezza e di pregiudizio sociale e politico.
Il paese attraversa una stagione difficile, prova ad emanciparsi da complessità strutturali, ritardi secolari e da una serie infinita di problemi intrecciati che ne hanno rallentato sviluppo e crescita, non soltanto materiale ed economica, ma anche e soprattutto sociale e politica. Le scelte del governo e della maggioranza, come in tante altre stagioni, non trovano il consenso di larghe fasce di opinione pubblica e parlamentare, ma hanno il merito di portare sempre più in evidenza e in filigrana il vero, onnipresente, immarcescibile nodo della nostra democrazia: la pregiudiziale!
Una sorta di idra dalle mille teste che bloccate o tagliate da una parte ricrescono dall’altra spesso senza altra logica che quella autoreferenziale di chi la solleva e la porta agli onori della cronaca e del confronto. Un virus micidiale che intacca in primo luogo proprio quello che si vuole difendere, rendendolo oltreché storicamente illogico, anche improduttivo e fonte degli stessi sintomi di disaffezione.
L’ultimo episodio indicativo di questa deriva che è anche sintomo gravissimo del livello di scontro che si vorrebbe creare nel paese in vista del referendum costituzionale di ottobre, è la presa di posizione dell’Associazione nazionale partigiani che ha chiesto espressamente di votare no, con ciò schierando o costringendo a schierarsi quanti si riconoscono in essa. Al di là di quella che potrebbe apparire od essere considerata una scelta di democrazia, è proprio lo schierarsi che appare grave, perché porta con sé l’inaccettabile (anche per l’Anpi) manifestazione di un atteggiamento ostativo come se la riforma costituzionale fosse qualcosa di contrario alla Costituzione. Portare su questa deriva e su questo piano inclinato chi dovrebbe essere al contrario depositario proprio dei principi di libertà alla base della democrazia, è un errore storico che si aggiunge agli alti lai sollevati di recente da autorevoli costituzionalisti, accomunati però dal solo intento di dire no, non si deve, è vietato! Sarebbe utile una risposta semplice ad una domanda, dove erano sino a ieri mentre si ragionava e si parlava di riforme persino più incisive di quelle delle quali si parla oggi. Ma sappiamo che non arriverà risposta alcuna. La verità scotta, si sa!
Il fascismo è durato vent’anni, la Repubblica ha festeggiato i suoi settanta anni. Persino nei numeri la realtà dice che cosa è l’Italia oggi. Certo assistiamo a fenomeni regressivi, ad egoismi settoriali o a paure come quella nei confronti delle migrazioni e alla richiesta di fermare, costruire difese, muri.
Ma continuare ad esprimere soltanto dinieghi, vèti, ostracismi, vivere nella costante denuncia dell’uomo “nero” in arrivo (non soltanto quello del ventennio) non appare, anzi appare sempre meno un atteggiamento intelligente e coerente con il valore più alto della Costituzione, quello di accompagnare e non impedire la crescita politica, culturale, economica e sociale del paese.
Negli ultimi vent’anni proprio la conventio ad excludendum, la pregiudiziale antiberlusconiana, ha fatto perdere tempo prezioso al paese, scollato il tessuto sociale, impoverito il ruolo dei partiti (spesso si scambia la causa con l’effetto, attribuendo le responsabilità solo all’ex cavaliere che è stato piuttosto il prodotto e non la causa della drammatica evoluzione del paese). Oggi, con una politica ipotecata dall’espansione del sistema giudiziario oltre i suoi confini, con il commissariamento continuo di ogni iniziativa non in linea, si rischia non il dramma ma la tragedia. E non servono soltanto diktat, accuse liberticide o espressioni come “non si permetta”, “come osa”, taccia. Espressioni contrarie al fulcro della democrazia, la libertà di opinione.
Chi rappresenta istituzioni e non partiti, chi impersona uno dei fondamenti della libertà riconquistata, dovrebbe favorire il confronto delle opinioni, non dare indicazioni di voto. I vèti lasciamoli realmente a dittatori veri o aspiranti di cui non v’è traccia nel paese, a capi, capetti e capatàz!
Le riforme hanno bisogno di essere avviate, non esistono riforme perfette, ma perfettibili e soltanto l’esercizio democratico di esse è garanzia per la democrazia. A furia di non fare riforme perché poi sarebbe difficile applicarle o forse non si vorrebbe farlo, siamo finiti in una morta gora. Sarebbe ora di cominciare a farle, ad applicarle e vedere dove vanno migliorate.
Lo ha sottolineato di recente anche il presidente emerito Napolitano che tanto ha lavorato perché si avviasse la stagione del cambiamento positivo nel paese dopo anni di confusione e dilazione. Non ci possono essere posizioni di chi ha ragione e di chi ha torto nel confronto in atto, ma solo opinioni che devono confrontarsi liberamente. E liberamente significa che nessuno possiede la verità e può condannare l’altro!
Lo dobbiamo a coloro che hanno perso la vita tanti anni fa per non essersi piegati alla violenza cieca e che ci hanno garantito sette decadi di libertà. Conserviamola in loro nome per le nuove generazioni!
di Roberto Mostarda