Tra pochi giorni, il ballottaggio nei comuni – la maggioranza – nei quali al primo turno non si è arrivati all’elezione dei sindaci, ci darà la fotografia definitiva, almeno in parte, di quanto accade nella mente degli italiani…
Tra pochi giorni, il ballottaggio nei comuni – la maggioranza – nei quali al primo turno non si è arrivati all’elezione dei sindaci, ci darà la fotografia definitiva, almeno in parte, di quanto accade nella mente degli italiani dinanzi alla confusione dei partiti e alla difficoltà di orientarsi e fidarsi di una rappresentanza politica all’altezza dei tempi. Le opzioni dei cittadini, al di là delle suggestioni oniriche e dell’ansia di un nuovo che finalmente sciolga nodi ancestrali e secolari, si confrontano con una realtà quanto meno desolante.
Per tutti basti l’esempio (si potrebbero trovare situazioni simili anche in altre realtà) della capitale. A Roma, senza confronto tra i due candidati, che si evitano, si sottraggono all’incontro necessario per capire differenze, assonanze, scelte future per la città, l’iperbole è tra chi vuole a tutti costi riportare i giochi olimpici nella città eterna e chi vorrebbe evitarli ma pensa ad avveniristiche funivie municipali tra quartieri periferici. Non c’è che dire, siamo sul limitare di quella “fuffa” che da decenni ammorba la città e l’ha condotta ad un degrado inaccettabile non soltanto per chi ci abita ma anche per chi in essa si reca per lavoro, per turismo o per devozione.
Viene da chiedersi due cose: le olimpiadi portano turismo, ma non quanto si vorrebbe, lavoro e nuove realizzazioni, ma non sempre utili nel dopo, molto più lungo del periodo dei giochi. Dunque a meno di non realizzare un percorso virtuoso nel quale ricostruire veramente il tessuto della metropoli e riportarla al ruolo che la storia e la civiltà le hanno assegnato, ossia scelte strategiche urbanistiche, energetiche, nei trasporti, nella viabilità, nella fruizione del verde e via raccontando, ogni altro “innesto” della sarabanda olimpica non avrà i risultati sperati se non per coloro che in essa saranno a vario titolo impegnati. La storia dei giochi anche all’estero e la dinamica che accompagna la nostra quotidianità, non danno grandi speranze in proposito! La domanda è dunque: avere la fiammata olimpica e poi qualcosa resterà, oppure con decisione e strategia costruire la Roma del dopo giochi, una grande città, una grande capitale mondiale, un centro di riferimento e un faro di civiltà. Un compito immane soprattutto per il livello dal quale si deve partire!
Se ci soffermiamo sull’altra iperbole, il discorso non cambia. Mentre i vecchi partiti sembrano a varia intensità interessati alla prospettiva olimpiadi, l’unica forza che si definisce alternativa, di sistema, i 5Stelle, si oppone ai giochi e si soddisfa con un’altra mirabolante assurdità: una funivia tra due quartieri alla periferia della città. Naturalmente, nelle intenzioni una scelta spettacolare in una città occupata più a scartare le buche stradali che a guardare in alto. Una scelta aliena, tanto roboante quanto insulsa. Perché pensare ad un simile impianto richiederebbe la predisposizione di parcheggi di cambio, soluzioni tecniche ineliminabili per favorire la mobilità via fune di coloro che invece devono misurarsi con gli imbuti stradali. Esistono queste premesse e le condizioni per farlo. Abbiamo forti dubbi in proposito. C’è poi un elemento che crea perplessità non indifferente: quel tipo di impianti necessita di una manutenzione continua, di investimenti costanti. La sicurezza, come ben sanno nei luoghi di montagna dove simili realizzazioni portano con sé progresso, turismo e ricchezza, ma anche devastazioni dei boschi, è un dato ontologico, ineliminabile.
Chi, a meno di un evidente delirio, può pensare che in una città come Roma, si possa avere sicurezza sul servizio di manutenzione degli impianti (oltretutto sarebbe necessario creare professionalità specifiche). La risposta onesta sarebbe nessuno: Chi si ricorda Italia ’90, che doveva essere la panacea per la circolazione in città, proprio in quel quadrante. A parte la galleria in perenne manutenzione sotto Monte Mario, la grande incompiuta, per quasi 30 anni è certamente l’anello ferroviario. Doveva essere il fiore all’occhiello. Cosa resta? A pochi isolati da San Pietro una “cattedrale” nel deserto. Viadotti e gallerie inutilizzati, stazioni mai aperte alla circolazione. Una vergogna della quale ancora ci si dovrebbe pentire e non immaginare soluzioni avveniristiche fuori contesto mentre la normalità è ancora nell’iperuranio.
La capitale come pietra angolare della situazione non lascia grandi spazi di speranza. Se ci poniamo poi di fronte alle altre grandi e medie città, assistiamo allo stesso senso di straniamento. Ogni candidato parla della sua visione della città, di quale città vuole realizzare, in totale isolamento, senza nessun confronto salutare non tanto con i suoi avversari, ma con la realtà ontologica dalla quale si parte.
Le nostre metropoli, le nostre grandi città, non hanno bisogno di megagalattiche realizzazioni ad onore di chi le propone. Hanno bisogno, prima, di scelte semplici, evidenti, naturali a chi ogni giorno esce, cammina, prende mezzi pubblici o la propria auto e si misura con la “verità” di un sistema caotico, non coordinato, fatto di monadi impazzite.
Sono queste le decisioni che i cittadini si aspettano, che vogliono sentire dai candidati, non mirabilanti coup de théâtre, che durano lo spazio di un mattino e lasciano poi il retrogusto amaro di degrado e incompiute che gridano vendetta davanti alla storia! Dunque, prima di parlare, occorre coordinare il pensiero con le parole!
di Roberto Mostarda