Dunque, gli italiani hanno votato in questa tornata amministrativa appena conclusasi e ai ballottaggi hanno dato vittorie nette e comunque convincenti, modificando non poco lo scenario delle città, soprattutto quelle più grandi…
Dunque, gli italiani hanno votato in questa tornata amministrativa appena conclusasi e ai ballottaggi hanno dato vittorie nette e comunque convincenti, modificando non poco lo scenario delle città, soprattutto quelle più grandi, rendendo più difficile in un certo senso o al contrario molto più semplice l’analisi dello scenario di quello che sarà il dopo politico, in vista della prova del referendum di autunno.
Certamente due appuntamenti nella sostanza e nella pratica lontani e non omologabili, ma per i quali si è invece innestata una sorta di vortice insensato per il quale dalle une potrebbe essere determinato il risultato dell’altro e così via. Ogni analisi è possibile ma un po’ di raziocinio non guasta, soprattutto interpretando il perché di un voto così netto che non è certo quello di una scelta basata sulle capacità, quanto piuttosto sugli umori e le idiosincrasie per l’esistente.
Ecco perché è saggio cercare di capire le iperbole alle quali assistiamo. Da un lato l’autoesaltazione dei vincitori, in primis i cinquestelle, per i quali la conquista di Roma e di Torino, sembra essere interpretata come il trampolino per il governo del paese (nientemeno) queste le parole del guru Grillo dall’hotel che lo ospitava con vista sulle antichità romane. Sembra per un attimo di assistere alla celeberrima scena del Grande Dittatore di Chaplin nella quale il dittatore appunto (von Hinkel, dietro al quale si leggeva naturalmente il capo del nazismo) gioca a pallone con il globo, accarezzandolo e coccolandolo pensando di poterne essere il capo supremo, sino all’imponderabile, lo scoppio che trasforma l’esaltazione in sbigottimento e poi rabbia.
Gioire per la vittoria in una città disastrata come Roma è legittimo anche se un romano su due non ha votato, ma la ragione della vittoria non è nella capacità di governo, nella saggezza nell’amministrare dei pentastellati appena arrivati alla politica. Pensare che i romani hanno consegnato loro la città perché sicuri di quel che sapranno fare è non solo stupido, ma anche poco lungimirante. I romani hanno espresso in modo sonoro la bocciatura sul passato e hanno dato una cambiale in bianco a chi ha promesso un assegno in bianco! Quindi, festeggiata un’indubbia vittoria, ora bisogna guardare in faccia il degrado e lo scoraggiamento e non certo porsi obiettivi come quelli di mirabolanti funivie che al massimo potrebbero essere la conclusione di un mandato virtuoso, se mai potranno superare le promesse elettorali e il bagno impietoso con la realtà fatta di strade impresentabili, di giardini ridotti a letamai, di zone sottratte ai cittadini e occupate da disperati e migranti, di mezzi pubblici fatiscenti e di assenza totale di manutenzione su qualsiasi aspetto della vita civile.
Se Roma non ride, però, Torino piange ma per ragioni completamente diverse. A differenza della capitale infatti la vittoria è meno marcata e si inserisce in un sistema amministrativo tutto sommato equilibrato e con meno zone d’ombra. Dunque i torinesi con la cortesia abituale hanno scelto di affidarsi ad un nuovo sconosciuto rispetto ad un passato forse fin troppo noto! Anche qui, l’autoesaltazione non sembra l’atteggiamento più sensato. Il messaggio dei cittadini però anche qui è chiaro.
Difficile comprendere anche l’esaltazione alla Masaniello del sindaco rieletto a Napoli che invita le sue schiere di “sanfedisti” cioè di suoi fedelissimi sino alla fede, a guardare a Roma e al governo. Sembra questo un virus inoculatosi in questi movimenti slegati da ogni logica di schieramento e formati soltanto da spezzoni di ogni orientamento in strano legame tra loro. La grande metropoli partenopea non ha risolto uno dei suoi gravi problemi nonostante i proclami del suo primo cittadino che sembra somigliare sempre più all’ex magistrato Ingroia (e sappiamo alla fine come è andata a lui in politica nazionale).
Dall’autoesaltazione possiamo ora spostarci al fronte speculare dell’autolesionismo. Quello del centrosinistra e quello del centrodestra. Sempre più simili in questo quadro fatto di tante reazioni autoinfliggenti come quelle del celebre marito che si priva degli attributi per far dispetto alla moglie! Il Pd è il primo della lista di questa tendenza tafazziana. Il premier/segretario ha sbagliato i tempi per tentare di raggiungere una leadership definitiva nel partito mettendo a repentaglio il partito e se stesso. Ma i veri campioni dell’autolesionismo sono gli esponenti della minoranza interna. Costoro hanno agito come un partito separato, fatto comunella con tutti gli “anti” come se non fossero nel partito del governo del paese. Ed ora vogliono il redde rationem dal segretario e vogliono scalzarlo da questo ruolo per “riappropriarsi” del partito di cui sono sempre minoranza! Un po’ di intelligenza degli avvenimenti (di morotea saggezza) avrebbe richiesto un comportamento consapevole della posta in gioco. Il caso di Roma è la prova lampante di questo atteggiamento suicida. La loro responsabilità è certamente prevalente su quella del leader che come è giusto deve comunque fare ammenda! Ma loro pensano di no, di essere i soli a capire e a saper cosa fare. Una premessa peggiore di ogni possibile conclusione. Le cose serie, si diceva una volta, non vanno poste in mano alle creature, cioè ai piccoli che non sanno ancora come trattarle!Qui i piccoli, sono invece vecchi arnesi che hanno perso ogni capacità di comprendere il paese e i suoi giovani che sono quelli che stanno cambiando gli equilibri sino a ieri immutabili.
Altro lampante esempio di autolesionismo, preceduto da episodi preoccupanti di tafazzismo esasperato, quello del centrodestra. Anche qui, pur di opporsi a Renzi si è andati a dare il voto ai grillini (in omaggio alla famosa e deprecata consorte) dopo aver al primo turno fatto di tutto per non farsi votare. In questo accomunando tutti, azzuri di Forza Italia, Fratelli d’Italia, Lega e annessi e connessi! Un comportamento di pura follia che ha contribuito a consegnare la capitale ai cinquestelle. Risultato non scritto sulle tavole ma ampiamente evitabile. In buona sostanza e senza consolarsi con l’aglietto di Milano, anche qui si è giocata una partita interna allo schieramento incuranti dell’interesse generale dei cittadini e delle urgenze che esprimono le città. E il voto ha detto esattamente questo (eccetto a Milano dove come in un’isola si è assistito a un confronto tutto sommato equilibrato e democratico nel senso vero del termine) e ha portato ad un sonoro schiaffone a coloro che hanno perso tempo nei loro orticelli!
Autoesaltazione ed autolesionismo sono due estremi che è sempre bene evitare! In ogni ambito della vita e così anche in campo politico! Non portano fortuna!
di Roberto Mostarda