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La multinazionale del terrore islamico questa volta ha scelto il Bangladesh per manifestare il suo proclama di sangue. Una strage costata la vita a 20 persone di cui 9 di nazionalità italiana…
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La multinazionale del terrore islamico questa volta ha scelto il Bangladesh per manifestare il suo proclama di sangue. Una strage costata la vita a 20 persone di cui 9 di nazionalità italiana, il più grande massacro di nostri connazionali dai tempi dell’attentato di Nassiriya nel 2003.
Il commando di jihadisti ha colpito un ristorante nel quartiere delle ambasciate della capitale Dacca frequentato da stranieri ed in particolare da italiani. Un blitz durato 48 interminabili ore, nel corso delle quali gli ostaggi sono stati selezionati sulla base dell’appartenenza religiosa: chi non sapeva recitare i versetti del Corano veniva straziato con armi da taglio e poi decapitato senza pietà. Un atto barbarico che ha lasciato sul terreno fiumi di sangue e che purtroppo ha visto malcapitati protagonisti tanti imprenditori italiani, numerosi nel paese del sud-est asiatico dove operano in attività legate alla produzione ed al commercio dei tessuti.
Le indagini degli inquirenti locali stanno analizzando il profilo dei 7 terroristi rimasti uccisi nel corso dell’assedio, dalle quali starebbe emergendo l’appartenenza degli stessi a classi agiate del paese, uno in particolare sarebbe figlio di un importante politico locale membro del partito di governo. Una ricostruzione che smentisce dunque la valenza sociale del terrorismo islamico del nuovo millennio, nato secondo alcuni dalle diseguaglianze sociali particolarmente forti in medio-oriente e nei paesi asiatici, ma in realtà figlio di un’ondata d’intolleranza e d’estremismo che nell’ultimo periodo si è impadronita del mondo musulmano.
Il Bangladesh negli ultimi anni ha visto aumentare in maniera drammatica gli atti di intolleranza e di violenza ai danni di laici ed occidentali. Nel settembre dello scorso anno un cooperante italiano, Cesare Tavella, era stato ucciso sempre nella capitale Dacca con diversi colpi di arma da fuoco. Un drammatico prologo del massacro della scorsa settimana, pianificato forse in risposta alla repressione messa in atto dalla polizia bengalese nei confronti degli aderenti più esagitati della galassia islamica. Operazioni che hanno portato in prigione oltre 5mila persone ma che evidentemente non sono servite a prevenire nuovi atti di terrore.
Anzi, sembra che uno dei fattori detonanti la nuova ondata di violenza, culminata nella strage dello scorso venerdì, sia stata proprio l’esecuzione a maggio di Motiur Rahman Nizami, leader del partito islamista Bangladesh Jamaat-e-Islami, accusato di genocidio al tempo della guerra che nel 1971 portò il paese all’indipendenza dal Pakistan.
L’acuirsi degli atti di terrorismo nei paesi del sud-est asiatico desta particolare preoccupazione nelle cancellerie occidentali e nei governi degli Stati della regione. Questi paesi sono infatti i più numerosi per presenza di musulmani del pianeta e finora, tranne il Pakistan, erano stati risparmiati dall’ondata di terrore che si era invece abbattuta sulle nazioni arabe.
Uno scenario da tenere dunque costantemente monitorato perché, se si dovesse infiammare anche questo angolo estremamente popoloso del pianeta, le conseguenze sarebbero sicuramente imprevedibili ma altrettanto sicuramente nefaste per intere generazioni.
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::autore_::di Diego Grazioli::/autore_:: ::cck::1398::/cck::