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Potenza ed… atto!

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L’appello finale di Virginia Raggi, al confronto su SkyTg24, prima delle ultime elezioni. Fonte http://video.sky.it/news/politica/confronto_sky_tg24_roma_lappello_finale_di_virginia_raggi/v286604.vid
“Passata la festa… gabbato lo santo!” Un vecchio adagio sempreverde potremmo dire, anche nell’era di internet.

“Passata la festa… gabbato lo santo!” Un vecchio adagio sempreverde potremmo dire, anche nell’era di internet. La festa in questo caso è l’euforia del dopo elezioni amministrative dove qualcuno ha vinto chiaramente e qualcuno ha perso con altrettanta linearità. Poi, però dopo risate, compiacimenti, esaltazioni, arriva il dopo, il momento di mettersi al lavoro e tirarsi su le maniche!
E’ trascorso quasi un mese dal voto e quello al quale assistiamo da nord a sud, anche dove a vincere sono stati i cinquestelle, è uno spettacolo consueto: si perde tempo, si gira intorno, si media, si tratta per formare le nuove giunte. L’attenzione è soprattutto per le grandi città, ma meccanismi simili si ripetono anche in piccole e medie! Si dirà, diamo loro tempo, sono appena arrivati, hanno tutti contro, mettiamoli alla prova! Certamente un beneficio del neofita è accettabile, ma è anche evidente che, scomodando un altro antico detto di saggezza popolare “se il buongiorno si vede dal mattino… ” non c’è molto di cui sentirsi tranquilli.
Quello che appare è la distanza tra quello che è in potenza il contenuto innovativo (o presunto tale) di movimenti ed esperienze politiche inconsuete, e l’atto, ossia il momento in cui le risorse in questione devono entrare nell’agone, misurarsi con la realtà, “sporcarsi le mani” si potrebbe dire se non vi fosse in questa espressione purtroppo un immediato sentore negativo che rimanda alle varie “… opoli” alle quali la cronaca ci ha abituato!
Potenza ed atto, dunque. Senza addentrarsi nei meandri della fisica, basta sottolineare che anche le migliori idee, le migliori strategie politiche, quelle vincenti anche al di là delle intrinseche qualità, hanno tutte inesorabilmente il loro tallone d’Achille: la prova del fuoco, il bagno di realtà. Tutti ne concionano, tutti fanno filosofia e indicano le parabole ora di questo ora di quel leader, ma se dal trastullarsi con le nuvole si scende sul terreno, ecco che appaiono senza schermi le verità sottese ai fenomeni che man mano occupano il proscenio.
La diversità politica per essere visibile deve avere immediati elementi di riconoscimento. Affermare pomposamente siamo diversi dagli altri, siamo ontologicamente altra cosa rispetto al passato, al marciume, a chi ci ha preceduto ed è responsabile dello sfascio, sono certamente belle parole che riscaldano gli animi di chi ha bisogno di incentivi, servono a far convergere i voti attorno a parole d’ordine semplici e percepibili. Solo che poi arriva il momento della verità, passaggio che a nessuno è dato di schivare!
Una situazione questa che vale per chi vince, ma vale anche per chi ha perso e deve dimostrare di poter essere nuovamente alternativa nel futuro.
Al di là delle velleità “rivoluzionarie”, delle forme di democrazia presunte nuove, quello che stanno dimostrando le vicende di Roma e Torino, soprattutto, è la grande difficoltà di tradurre in atti amministrativi concreti, dai primi cioè quelli di formazione delle squadre, delle giunte, alle prime azioni per così dire in corpore vili, cioè attaccando i nodi da sciogliere, i passaggi fondanti di un nuovo modo di amministrare che faccia pulizia, che cambi le cose!
C’è del nuovo, dunque! A dire il vero molto poco, anzi d’antico! I riti si svolgono sempre all’interno dei gruppi e gruppetti, si avverte lo stridore delle lotte intestine, con buona pace del fatto che nel nuovo che avanza sono i cittadini, la democrazia diretta inventata dai guru del movimento, coloro che dovrebbero avere l’unica parola! Ma quali cittadini e quale democrazia, se essa passa per gli algoritmi pur intelligenti della piattaforma Rousseau? Potremmo dire “ai posteri… ” se tutto ciò non riguardasse il nostro quotidiano!
E’ evidente che un po’ di tempo va dato e che la speranza che qualcosa di diverso possa emergere va sostenuta! Ma la sensazione di insieme è molto poco rassicurante soprattutto se si va ad analizzare con calma e senza preconcetti personaggi, esponenti, curricula politici ed amministrativi dei nomi che si affacciano sul proscenio. Qui si comprende un altro rischio immanente: il vecchio, immarcescibile vizio originario del trasformismo. Si può essere rinnovati certo, è ammissibile, ma andare a ritrovare le origini di questo o quell’eletto e candidato a posti in giunte, ci conduce nei meandri di una politica che non riesce mai a rinnovarsi veramente. L’unica certezza è che ora a varcare le porte delle amministrazioni è una sorta di mealting pot, fatto di pezzi di sinistra anche estrema, di destra anche estrema, di spezzoni e varia umanità di una volta vecchie tradizioni politiche, oggi spezzoni solitari e quasi personali di quel che fu!
Non proprio un’immagine di novità, di diversità ontologica! E se questa sorta di armata Brancaleone deve comunque affrontare e scontrarsi con il potere reale, economico e non, il potere duro e becero dei territori, qualche perplessità nasce spontanea, pur sperando di avere un abbaglio e di trovarsi domani in un mattino radioso! Ma l’epoca delle fascinazioni e delle illusioni è ormai tramontata per sempre come le ideologie e i loro inguaribili e autolesionisti sostenitori (lo scontro interno al Pd, in questo caso, docet!).

di Roberto Mostarda

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