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Commissione Chilcot: il crollo di Tony Blair

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Tony Blair, UK Prime Minister (1997-2007), di Chatham House, Wikimedia Commons
Dopo sette anni di lavoro, la commissione d’inchiesta ufficiale sull’intervento britannico in Iraq, presieduta da Sir John Chilcot, ha partorito un documento, diviso in 12 volumi, che mette nero su bianco gli errori, di natura politica e strategica, del governo di Tony Blair.

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E’ di dominio pubblico, dal 6 Luglio, dopo sette anni di lavori, diviso in 12 volumi, il rapporto redatto dalla commissione d’inchiesta ufficiale, sull’intervento del governo britannico in Iraq, presieduta dall’alto funzionario Sir John Chilcot.
Istituita nel giugno del 2009 dall’allora primo ministro britannico, Gordon Brown, la commissione nasce con la volontà di chiarire non solo le dinamiche e le responsabilità che hanno spinto il governo di Londra ad aprire lo scenario iracheno, nel periodo compreso tra l’estate del 2001 alla fine di Luglio 2009, ma di identificare le lezioni che possono essere apprese dal governo britannico per far fronte a situazioni simili in futuro.
L’esito della commissione, definito dalla stampa mondiale come “Rapporto Chilcot”, rappresenta uno straordinario documento di storia contemporanea: in grado di aprire un nuovo capitolo sugli effetti mondiali scatenati all’indomani degli attentati di New York e di Washington dell’11 Settembre.
Ma più di ogni riflessione di carattere storico, il rapporto sembra, ovviamente, accendere un faro sulle responsabilità politiche dell’ex primo ministro britannico Tony Blair: uno dei leader protagonisti della “Coalizione dei Volenterosi” guidata dall’amministrazione di George W. Bush durante il secondo conflitto iracheno. La commissione d’inchiesta, come riportato dalle parole del diplomatico Chilcot, ha cercato di dare una risposta a due grandi domande:

1. era giusto e necessario invadere l’Iraq nel Marzo del 2003;
2. il Regno Unito era preparato per la fase post-invasione.

Le due domande di partenza, liquidate all’interno del rapporto attraverso una moltitudine di domande, hanno evidenziato, inequivocabilmente, il nome di Tony Blair: reo di una serie di gravissimi errori politici e strategici.
Primo fra tutti. Il Regno Unito ha scelto di aderire all’invasione in Iraq, culminata con la caduta del regime di Saddam Hussein, prima che le soluzioni pacifiche erano state esaurite. Una decisione nata sulla base di un fallimento istituzionale. Infatti, il primo ministro britannico aveva cercato, in un primo momento, in particolare in occasione di un incontro a Crawford, in Texas, i primi giorni d’aprile del 2002, di esortare il presidente repubblicano, George W. Bush, di non affrettare l’intervento in Iraq e di contenere il regime di Baghdad. Nonostante l’approccio riflessivo, dopo una serie di tentativi diplomatici, culminati in un buco nell’acqua, il Regno Unito ha accettato il calendario degli Stati Uniti per un’azione militare in Iraq entro la metà di Marzo.
Dalla seguente ricostruzione, il fallimento politico – diplomatico di Blair si proietterebbe, quindi, attraverso due approcci che si sono rivelati illusori: la sottovalutazione delle intenzioni dell’amministrazione Bush e la sopravvalutazione della propria influenza politica nel coordinare gli affari esteri statunitensi.
Ma il rapporto Chilcot non si limita a una valutazione meramente politica dell’operato di Blair. Il rapporto ha dimostrato, sopratutto, errori di natura strategica: i giudizi sulle potenzialità del regime di Saddam Hussein, di sollevare programmi rivolti alla costruzione di armi di distruzione di massa, erano stati presentati dal governo laburista con una certezza ingiustificata. Il governo centrale, oltre che la comunità d’intelligence, aveva, indubbiamente, sopravvalutato le capacità belliche di Baghdad. Il pericolo costituito dal presunto arsenale iracheno, annunciato dall’asse anglo-americano, Blair – Bush, si è rivelato ingiustificato e menzognero.
Infine, probabilmente l’errore più grave in ambito strategico, è stata la mancata costruzione di una “strategia intelligente” del governo Blair nel pianificare la fase post Saddam Hussein. Tra l’altro non mancarono, ammonisce il rapporto Chilcot, inadeguatezze all’interno dell’esercito britannico. Lo stesso ministero della difesa sembra che abbia agito con ingenuità, specialmente nell’area sud-est della regione irachena, sovrastimando le proprie capacità militari e civili per l’imposizione di uno stato di sicurezza.
Il resoconto dell’operazione irachena è indiscutibilmente fallimentare. Il governo Uk ha fallito gli obiettivi che si era prefissato prima dell’intervento: instaurare la pace, secondo un modello occidentale, e diminuire gli attentati terroristici. Decine di migliaia di vittime irachene e 179 membri britannici è il triste resoconto stimato dalla commissione Chilcot.
Alla luce di tutto ciò, ritornando alle due domande di partenza, poste dal diplomatico Chilcot, sembra che la risposta giusta, detto brevemente, sia un chiaro e insindacabile: NO.
Comprensibilmente, l’irremovibile macigno sulla politica estera britannica ha spinto il premier dimissionario, David Cameron, a riconoscere, intervenendo alla Camera dei Comuni, la “lezione da imparare” per i nuovi scenari internazionali. Probabilmente le stesse lezioni che si era promesso di imparare, ancora prima dell’uscita del rapporto Chilcot, il leader laburista, Tony Blair, quando in occasione di un intervista alla CNN, ottobre 2015, ha chiesto “scusa” per gli errori fatti in Iraq: il pretesto delle armi di distruzione di massa;la fallimentare pianificazione post- Saddam Hussein; l’apertura verso la polveriera che attualmente rappresenta la regione irachena.
La commissione d’inchiesta sembra riaffermare, più di ogni altra ricostruzione, con maggiore vigore, una patina oscura intorno alla figura politica di Tony Blair e la sua visione di sinistra europea: entrambe coperte dallo sventolio della bandiera statunitense filo- repubblicana e neoconservatrice.

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::autore_::di Giovanni Capozzolo::/autore_:: ::cck::1424::/cck::

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