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Nella plurisecolare storia dell’Impero ottomano, ai traditori o agli incapaci, veniva riservata la scelta del supplizio: impalamento per i ranghi minori o strangolamento con un laccio di seta per le alte sfere del potere.
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Nella plurisecolare storia dell’Impero ottomano, ai traditori o agli incapaci, veniva riservata la scelta del supplizio: impalamento per i ranghi minori o strangolamento con un laccio di seta per le alte sfere del potere.
Ora nella Turchia del nuovo millennio la storia si ripete, la repressione messa in atto da Recep Tayyip Erdogan nei confronti dei presunti aderenti al golpe di metà luglio è meno truculenta ma altrettanto spietata: carcere a vita, tortura, espulsione da ogni incarico pubblico e reintroduzione della pena di morte. Un giro di vite che sta cambiando radicalmente il volto alla Turchia moderna voluto dal padre della patria Kemal Ataturk.
Le scene di soldati denudati, ammassati a testa bassa dentro una stalla per cavalli, colpiscono per la loro brutalità che sembra rievocare il triste operato delle giunte militari sudamericane di quarant’anni fa. Invece è cronaca quotidiana, a poche centinaia di chilometri da noi, nel paese che fino a poco tempo fa ambiva a far parte della grande famiglia europea. Un sogno destinato a rimanere tale per almeno una generazione di giovani turchi che crede nei principi di laicità e di divisione dei poteri, come qualunque stato moderno.
Con la svolta repressiva impressa da Erdogan invece è l’Islam a dettare tutte le regole del gioco dei rapporti sociali. La sospensione e l’arresto di migliaia di giudici, la chiusura di università ed il licenziamento di presidi e professori, la censura degli organi d’informazione e la messa al bando di intere redazioni di giornalisti, spingono il gigante anatolico verso quei paesi del Medioriente dove è la sharia l’unica fonte di diritto.
Quello che colpisce maggiormente di questa notte turca è la repentinità del disegno messo in atto dal Presidente Erdogan che nell’arco di poche ore si è trasformato da fuggiasco a padrone incontrastato del proprio paese. È proprio l’accelerazione del giro di vite nei confronti delle frange laiche della società a destare più di un sospetto sull’effettiva genuinità del colpo di stato messo in atto da una fazione del potente esercito della mezzaluna.
Un golpe durato meno di tre ore che ha lasciato sul terreno un numero esiguo di vittime, nonostante l’uso dei caccia militari e dei tank nelle strade, che induce molti a pensare che il putsch sia stato in qualche modo indotto e manovrato dallo stesso Erdogan. Il Sultano infatti ha parlato esplicitamente di “dono di Allah”, anche se a ben vedere le cose bisognerebbe piuttosto ringraziare il politico più influente del pianeta cioè l’inquilino della Casa Bianca Barak Obama. Difficile infatti che la fazione golpista dei militari si sia mossa senza il via libera degli Stati Uniti che nelle prime ore della sollevazione avevano auspicato calma e stabilità per poi virare verso un sostegno al governo democraticamente eletto. Una capriola le cui conseguenze saranno pesantissime per i rapporti tra il mondo occidentale e la stessa Turchia.
Il paese della mezzaluna riveste infatti una valenza indispensabile nel travagliatissimo scacchiere mediorientale, con la sua appartenenza alla NATO e con interessi strategici sia nella guerra civile siriana sia nella guerra fredda con la Russia di Putin. E intanto nelle strade di Istanbul nelle ore notturne le donne senza il velo hanno paura a circolare.
Un bel capolavoro non c’è che dire.
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::autore_::di Diego Grazioli::/autore_:: ::cck::1445::/cck::