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TTIP: aprire il libero scambio tra Usa e Ue, abbattere le barriere tariffarie e non tra le due parti, consentire la libera circolazione delle merci nei rispettivi territori. Programma tanto ambizioso quanto rischioso per le tutele e gli standard europei.
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Il Ttip – Transatlantic Trade and Investment Partnership – è fallito. Il trattato di libero scambio tra Usa e Ue è saltato. E’ questa la nota conclusiva che emerge dall’intervista rilasciata dal vice-cancelliere e ministro dell’Economia tedesco Sigmar Gabriel alla rete tedesca Zdf. Il ministro socialdemocratico ha ammesso che: “i negoziati con gli Stati Uniti sono effettivamente falliti perché come europei non possiamo accettare supinamente le richieste americane. Non ci sarà alcun passo avanti, anche se nessuno lo vuole ammettere veramente”. Sembra che la sigla del trattato, che anima i più sentiti sentimenti contro l’inarrestabile dominio della globalizzazione, sia un capitolo chiuso. Non è così.
I negoziati ufficiali per la stesura del trattato, tra Unione Europea e Stati Uniti, sono iniziati a partire dal 8 al 13 Luglio 2013 a Washington. Il capo negoziatore per l’Ue, Ignacio Garcia – Bercero, alla fine della prima seduta ufficiale, con toni vittoriosi, descrisse il Ttip come il: “più grande trattato commerciale bilaterale mai intrapreso”. L’accordo commerciale prevede di integrare i due mercati, Ue e Usa, attraverso l’abbattimento delle barriere economiche (dazi) e quelle non tariffarie (regolamenti, norme e standard). L’obiettivo è consentire la libera circolazione delle merci nei rispettivi territori. Tra questi l’accesso al mercato per i prodotti agricoli e industriali, appalti pubblici, investimenti energia e materie prime, questioni normative, misure sanitarie, servizi, diritti di proprietà intellettuale, lo sviluppo sostenibile, crescita per le piccole e medie imprese, la concorrenza, la facilitazione dogane/commercio, imprese di proprietà statale.
E’ evidente che tale accordo si proietta con una grandissima, fin troppa, ambizione. Secondo uno studio condotto dal Centre for Economic Policy Research, con sede a Londra, nel Marzo 2013, commissionato dalla Direzione generale della Commissione Europea per il Commercio, il trattato di libero scambio potrebbe portare enormi vantaggi economici in generale per l’Unione Europea, fino a 187 miliardi all’anno per le esportazioni europee verso gli Usa; mentre per gli Stati Uniti 126 miliardi l’anno. L’incremento del reddito è il risultato dell’aumento del commercio: e questo si tradurrebbe, prosegue lo studio londinese, con un bonus-extra di 545€ del reddito disponibile ogni anno per una famiglia di quattro persone nell’area Ue. Nel complesso non soltanto le esportazioni tra i due paesi aumenterebbero in forma esponenziale; la liberalizzazione commerciale fra i due paesi avrebbe un impatto positivo sugli scambi e redditi in tutto il mondo, aumentando il Pil nel resto del mondo di quasi 100 miliardi di €. Infine tra i benefici settoriali: un aumento delle esportazioni in tutti i settori (prodotti chimici, metallici, alimentari, fabbricati merci, mezzi di trasporto); abbattimento delle barriere tariffarie e di quelle non tariffarie (burocrazia e regolamenti); nuove opportunità di lavoro.
Un trattato ambizioso destinato a portare un cambiamento ambizioso: diversi osservatori in campo economico definiscono il Ttip come una “Nuova Nato”. Maun progetto di tale portata ha trascinato con sé non poche polemiche e allarmi. L’associazione ambientalista di Vancouver, Greenpeace, ha segnalato la pericolosità dell’accordo transatlantico per l’ambiente e per gli attuali standard sociali. Secondo i sostenitori anti – Ttip, l’accordo, con un mercato globale così vasto, porterebbe a un declassamento della legislazione europea in materia di tutele. Tutele meno stringenti, o inesistenti, in Usa. Infatti le preoccupazioni dei principali oppositori, come Greenpeace, sono dettate proprio dalle tematiche di carattere sociale, ambientale e sanitario. Uno dei timori più diffusi è il settore alimentare. Con l’abbattimento delle barriere doganali, avrebbero libero accesso prodotti alimentari che in Europa sono vietati: verdure Ogm, carne con ormoni e antibiotici, verdure trattate con pesticidi. Inoltre se con il trattato di libero scambio da un lato aumenterebbe l’export verso gli Stati Uniti, dall’altro piccole e medie imprese europee, in particolari le nicchie italiane, vedrebbero i loro prodotti artigianali – moda, design, gioielli, cibo, – schiacciati dalla forza delle colossali multinazionali statunitensi. Insomma il Made In Italy si troverebbe a fare i conti con un imponente Made In Usa.
Diverse preoccupazioni riguardano il settore ambientale, farmacologico, chimico: per esempio Usa e Ue sono governate da diversi regimi in tema di estrazione, ma l’apertura al mercato globale potrebbe causare l’abolizione dei limiti per la ricerca di petrolio attraverso tecniche ad alto tasso ambientale; e per di più la pressione delle grandi case farmaceutiche americane potrebbe sconvolgere l’attuale normativa europea in materia; infine i prodotti chimici statunitensi, rilasciati da una tutela più flessibile rispetto a quella europea, potrebbero causare non poche conseguenze per i consumatori. Per quanto riguarda il settore sociale del mondo del lavoro, innumerevoli sono gli allarmi che segnalano una eventuale perdita di diritti e di tutele a causa dell’apertura a un mercato globale di tale grandezza.
Un programma così imponente non poteva non creare una spaccatura tra i sostenitori e i contrari. Con la dichiarazione – il negoziato è fallito – del ministro tedesco Gabriel sembra che la maggioranza sia dalla parte di quest’ultimi. Tuttavia mentre gli oppositori al Ttip esultano con grande favore alle parole del ministro tedesco; il cancelliere Angela Merkel, così come la Commissione Europea di Bruxelles, si è affrettata a smentire le parole del suo stesso ministro socialdemocratico – segnalando una delle tante contraddizioni della grande alleanza tedesca tra socialdemocratici e popolari – ribadendo che i negoziati tra Usa e Ue per sviluppare un accordo di libero scambio sono tutt’ora in corso.
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::autore_::di Giovanni Capozzolo::/autore_:: ::cck::1494::/cck::