Economia

Europa: Ventotene un’isola alla deriva

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Diagramma di Eulero che mostra le relazioni tra le varie organizzazioni multinazionali europee. Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/File:Supranational_European_Bodies-it.svg
In una cornice del quadro politico ed economico in progressivo deterioramento il summit di Ventotene è apparso un tentativo estremo di rilancio dei valori costituenti dell’Unione Europea, cui si oppone la mancanza di una politica fiscale e di suddivisione dei rischi.

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La stagione estiva volge alla conclusione, con la calma della bonaccia d’agosto a solcare i mari dopo i venti agitati dalla Brexit e dalla diffusione dei dati economici.
Il trimestre italiano a crescita zero riapre gli spauracchi di una recessione tendenziale, che porterebbe ad aprire nuove crisi e destabilizzazioni all’interno dello scacchiere europeo, già privo di pedoni ed alfieri persi verso la strada dei trattati di Lisbona.
La personalizzazione del nostro premier, sul tema delle riforme costituzionali e sulla legge elettorale, vede la situazione politica navigare in acque a dir poco agitate, e i risultati elettorali che si susseguono nei vari paesi in Europa testimoniano il disagio dei cittadini europei dinanzi ad una crisi politico-economica e istituzionale che le autorità europee non sembrano in grado di arginare.
Il summit di Ventotene, con la riaffermazione dei principi di solidarietà e cooperazione dei paesi fondatori dell’Unione Europea, sembra un estremo tentativo di evitare una deriva autoritaria e di rottura disordinata del progetto di integrazione che Altiero Spinelli idealizzò sull’isola laziale, eletta a manifesto di un’Europa federale nei primi anni ‘40.
Le cause della crisi sono state ampiamente analizzate e dibattute: l’aver basato la costruzione sulla moneta unica e su parametri economici e di bilancio, senza fissare i progressivi interventi a limitare le distorsioni e le negatività che la moneta avrebbe procurato, è stato l’errore più grande al quale la politica non ha saputo dare risposte ed interventi.
La reticenza dei vari Paesi a cedere progressivamente la propria sovranità e convergere verso un’impostazione comune ha progressivamente ampliato le differenze strutturali e produttive, alimentando, attraverso le varie forme di austerità, l’insofferenza dei cittadini che reagiscono esprimendo nell’urna tutta l’insoddisfazione del deterioramento progressivo delle condizioni di vita.
La risposta dei governi nazionali è stata quella di assecondare le agende fissate a Bruxelles, con la speranza di ottenere qualche decimale in più di flessibilità per ottenere dei minimi vantaggi elettorali, ma, dinanzi a l’ovvia ineluttabilità dei dati economici, la stabilità dei governi filo europei viene scalfita dal progressivo incremento dei movimenti anti euro e anti austerità.
Le manovre economiche e monetarie che la BCE (Banca Centrale Europea) ha messo in campo, hanno sortito l’unico effetto di tenere unito l’euro e dare sostanziale garanzia al debito sovrano di tutti gli stati aderenti, ma non hanno portato nessun beneficio all’obiettivo iniziale del 2% di inflazione media.
La deflazione causata dal taglio dei redditi e dagli inasprimenti delle politiche fiscali ha accelerato la depressione economica in un contesto già segnato dalla crisi dei mutui subprime del 2008.
La conseguente instabilità del sistema bancario pone l’Europa in una condizione di fragilità dinanzi a eventuali ulteriori shock economici e le spuntate armi del governatore Mario Draghi poco possono di fronte alla mancanza di una politica fiscale e di suddivisione dei rischi.
Gli Stati Uniti, per molti deus ex machina del progetto europeo, sembrano ormai distanti dalle logiche dell’euro, causa l’eccessiva rigidità tedesca sulla visione di paese virtuoso e orientato esclusivamente alle esportazioni, sottraendo al resto del mondo quel potenziale di consumi così strategici in una economia sempre più globalizzata.
Gli scenari che si aprono nel prossimo futuro porteranno a varie strade distinte e separate: potremo assistere alla salvaguardia dell’euro e del progetto iniziale, con Francia e Italia che si assumeranno, attingendo alla ricchezza dei privati cittadini, l’onere della ricapitalizzazione dei bilanci sia pubblici sia delle banche, per poi ottenere in seguito una garanzia sui depositi bancari e armonizzazione fiscale o, al contrario, la strada del disfacimento dell’euro, con il ritorno alle monete nazionali o perlomeno alla creazione di monete che coprirebbero paesi simili dal punto di vista geografico ed economico, il cosiddetto euro del sud, con la conservazione del libero scambio di beni e servizi e accordi comuni sul commercio con i paesi extra europei.
L’esperienza attuale insegna che l’attuale e futura classe dirigente dovrà in ogni caso delineare come il mercato deve essere regolamentato e quale peso gli esecutivi dei paesi debbono tenere nei confronti dell’economia e del capitalismo a servizio della collettività, come l’espressione federalista di Ventotene manifestava, prima della deriva.

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::autore_::di Gianluca Di Russo::/autore_:: ::cck::1524::/cck::

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