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Paradossi burocratici nell’applicazione delle procedure per il rilascio dei visti negano ai ragazzi dello Sri Lanka invitati per il Giubileo della misericordia le garanzie offerte dalla “parola” del vescovo di Trieste.
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La notizia ha avuto poca evidenza su quasi tutti i media, indaffarati come sono sulle nostre beghe politiche, e non hanno segnalato, forse con la dovuta importanza, l’allarme lanciato da molte autorità internazionali per un probabile sbarco, entro poco tempo dalle coste libiche, di almeno 230 mila persone.
Per dare un’idea è come se, ad esempio, una città grande come Catania decidesse di trasferirsi in blocco in Italia, pretendendo, ovviamente, assistenza, sistemazione adeguata e magari un visto di soggiorno, se non addirittura la nazionalità, dal momento che come profughi senza alcun documento non hanno certo le carte in regola.
Problemi non da poco per questo eventuale sbarco per l’assetto economico e sociale del nostro Paese, dopo aver sopportato 145 mila arrivi solo questa estate e altrettanti negli anni passati.
Per carità, è il caso di dire, qui si accoglie tutti senza distinzione, chiunque viene è sempre ben accolto o meglio, una distinzione in verità c’è: se le persone che vengono dai cosiddetti Paesi del terzo mondo sono senza documenti non c’è alcun problema ad accoglierli, il problema sorge quando questi hanno, non solo il passaporto, ma come nel caso che raccontiamo, l’invito della curia di Trieste con la relativa garanzia del vescovo in persona, per ventuno ragazzi invitati per il Giubileo della misericordia, con l’impegno per il loro rientro in patria allo scadere del permesso di soggiorno.
Alla richiesta del visto è stato allegato, per scrupolo, anche l’elenco delle visite previste nel programma del pellegrinaggio e del soggiorno per due settimane nella città di Trieste per assistere ad eventi religiosi e culturali.
Infine, come se ciò non bastasse come ulteriore garanzia, fra i fedeli era stata avviata una raccolta fondi per ospitarli e garantire loro la copertura di tutte le spese.
Insomma, più garanzie di così è difficile trovarle, tanto che la richiesta per il visto ai ragazzi, presso la nostra ambasciata a Colombo, nello Sri Lanka, sembrava solo un pro-forma.
Con queste premesse, i ragazzi erano attesi a Trieste per questa estate, ma i ragazzi non sono mai arrivati.
Con grande meraviglia e sconcerto degli organizzatori, la possibilità di ottenere il visto per i ragazzi si è rivelata un impresa impossibile. La nostra ambasciata è stata irremovibile.
Dopo mesi di lungaggini burocratiche di ogni tipo e nonostante le garanzie ed assicurazioni, il visto non è stato rilasciato ed è stato risposto ai richiedenti, compreso il vescovo, con un modulo prestampato, che gli interessati non avrebbero dimostrato nella richiesta: “di disporre di mezzi di sussistenza sufficienti, sia per la durata prevista del soggiorno, sia per il ritorno nel paese di origine” e che, nonostante, come abbiamo scritto, la garanzie del vescovo in persona, “le informazioni fornite per giustificare lo scopo e le condizioni del soggiorno non sono attendibili“.
A questo punto monsignor Crepaldi, vescovo di Trieste, ha inviato una lettera di rammarico al nostro ambasciatore a Colombo, Paolo Andrea Bertorelli, nella quale tra l’altro si afferma che “La cosa peggiore è stato sicuramente il diniego del visto ai giovani srilankesi con delle motivazioni a dir poco stupefacenti che insinuano il dubbio circa le spese di viaggio, vitto e alloggio ed il rientro in Sri Lanka. È stata messa in discussione la serietà della proposta della Diocesi di Trieste“.
A questo bisogna aggiungere anche il racconto di Padre Michalik, sacerdote polacco e tra gli organizzatori del viaggio: “A ragazzi di vent’anni, che non sono mai stati a Trieste chiedevano dettagli su dove avrebbero soggiornato, che non potevano conoscere. Un prete tamil che pure voleva garantire è rimasto offeso dall’interrogatorio poliziesco subito in ambasciata“. Ha poi affermato ancora padre Michalick: “I cristiani non protestano mai. Forse per questo ci trattano così“.
Parole che condividiamo in pieno e che andrebbero inoltrate probabilmente, oltre che all’ambasciatore italiano e al ministero degli Esteri, anche ai paladini dell’accoglienza in Vaticano, meglio se nei pressi della chiesa di Santa Marta.
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::autore_::di Antonello Cannarozzo::/autore_:: ::cck::1542::/cck::