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Il sostantivo scelto per questa digressione sarebbe risultato piuttosto pesante (temporeggiamento) e abbiamo scelto allora il verbo che peraltro rende attivo il significato proprio del termine di questa settimana!
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Il sostantivo scelto per questa digressione sarebbe risultato piuttosto pesante (temporeggiamento) e abbiamo scelto allora il verbo che peraltro rende attivo il significato proprio del termine di questa settimana! Attivo in senso metaforico, ovviamente, perché temporeggiare indica proprio il rallentare, il fermare l’attività! Letteralmente il vocabolo deriva dal latino medioevale temporizare, ossia «passare il tempo».
Il valore che più di tutti emerge è però quello di indugiare, prendere tempo in attesa che giunga il momento favorevole per agire o che la situazione si risolva da sé. Ricordiamo ad esempio Machiavelli che sottolineava “temporeggiava sperando di ottenere condizioni migliori; basta solo non preterire l’ordine de’ sua antenati, e dipoi temporeggiare con gli accidenti).
Dove il valore del verbo e del suo sostantivo appare più compiuto è nella terminologia bellica, dove indica il comportamento teso a rimandare l’incontro decisivo col proposito di stancare e logorare l’avversario. La storia ci ricorda Fabio Massimo, condottiero romano che “temporeggiando” salvò la repubblica. Un uso consueto nei tempi passati era anche quello che indicava il trarre in lungo evitando di affrontare direttamente; o ancora, più raramente comportarsi secondo le circostanze e l’opportunità, quindi destreggiarsi o tergiversare, procedere a tira e molla, traccheggiare.
E’ facile constatare, con uno sguardo all’Europa, come il temporeggiare, il piccolo aggiustare, il non decidere, siano all’ordine del giorno, nella paralisi delle istituzioni centrali e mentre populisti ed estremisti di vario tipo sembrano avere il loro momento di gloria nel vuoto di proposta politica e di capacità decisionale. Ogni appuntamento viene spacciato come fondamentale per poi scoprire, dopo, che non si è deciso molto e che non è cambiato quasi nulla nei rapporti tra i vari partners comunitari.
Una situazione che appare speculare a quel che succede in Italia. La spinta propulsiva del governo Renzi, le proposte dei cambiamenti in cento giorni sono finite nella palude dei rinvii, dei dibattiti, dei confronti tanto necessari e democratici, quanto nella sostanza inutili ripetizioni di dialoghi tra sordi o quanto meno poco udenti!
Non si avverte nessun vera spinta in avanti, mentre tutti i problemi, tutti i nodi vengono come sempre al pettine! L’economia non cammina come dovrebbe, ma neppure le riforme della pubblica amministrazione sembrano vive e vitali, il lavoro aumenta ma al tempo stesso diminuisce secondo la schizofrenia dei dati statistici, depurati o non depurati da quelli congiunturali, oppure analizzati senza tenere conto di quelli destagionalizzati e così via argomentando all’azzeccagarbugli di manzoniana memoria!
Temporeggiare non è mai una buona politica, proprio per quanto appena detto. Le crisi internazionali, i loro riflessi sul nostro paese non attendono indugi, ripensamenti, attese di pronunciamenti di alti organi e così via! Naturalmente non si intende sostenere la necessità di decisionismi degni di altri criteri di governo, ma è inevitabile non rendersi conto che lo stato attuale della politica nazionale (non solo dell’azione dell’esecutivo ma di tutti gli attori) si possa definire di attesa non si sa bene di cosa, di indugio o di sostanziale temporeggiamento!
Soltanto che la storia ci dimostra un solo caso di temporeggiamento con successo, quello del romano Fabio Massimo appunto che con la sua tattica dilatoria riuscì nell’intento di demoralizzare e stancare i suoi avversari. Ai tempi nostri, nell’era di internet, mentre da ogni parte continuano a bombardarci messaggi sulla società che diventa 2.0, 3.0, 4.0 e perché no anche 5.0. Mentre ogni cosa corre ineluttabilmente verso quella che Nicholas Negroponte (padre di molte teorie dei nostri tempi) prevede come una “gigantesca perdita di tempo” che ci rovinerà addosso a conclusione di questa folle corsa, di questa accelerazione apparentemente senza più scopo, noi, in Italia, sembriamo a nostro agio proprio con quest’ultima condizione: la perdita di tempo di per sé, fine a se stessa. Naturalmente mentre lo perdiamo questo tempo, sentiamo sottolineare con parole accorate e veementi, la necessità di decidere rapidamente, di non lasciar passare “tempo” perché i problemi non aspettano, le soluzioni richiedono poi guarda caso “tempo” ulteriore e via …. temporeggiando”.
E non ci si faccia illudere dalla crescente insofferenza della gente di fronte ai problemi quotidiani e da scelte politiche guidate da tale insofferenza per vedere risolti con rapidità i problemi come si sente dire, al bar, in ufficio, in farmacia o all’ufficio postale! In realtà a tutti o quanto meno a moltissimi di noi, non dispiace dilazionare le soluzioni soprattutto quando la rapidità comporta un impegno diretto e un costo da sostenere. Allora, guarda caso, c’è sempre tempo, possiamo aspettare, che fretta c’è, ragioniamoci sopra ancora un po’ e via con l’ineffabile levità dei luoghi comuni. E poi ci lamentiamo se i politici che ci rappresentano perdono tempo. Se un governo vuole decidere o simili amenità!
Meglio aspettare, potremmo dire!
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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::1547::/cck::