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Per cominciare questa riflessione sul termine che abbiamo individuato, non consueto e anche apparentemente misterioso se non fosse per un suo evidente apparentamento con l’egoismo…
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Per cominciare questa riflessione sul termine che abbiamo individuato, non consueto e anche apparentemente misterioso se non fosse per un suo evidente apparentamento con l’egoismo (con il quale può capitare di confonderlo) è sicuramente utile ricordare con ironia quella simpatica canaglia d’altri tempi immortalata dal grande Alberto Sordi, il marchese del Grillo. La cifra indimenticabile e distintiva del nobile romano era ed è senza alcun dubbio la chiosa sferzante che egli consegna alla domanda di un poveraccio alle prese con la legge mentre il marchese usufruiva della benevolenza papale, di famiglia, nella gustosa e un po’ amara pellicola di Mario Monicelli: «Me dispiace. Ma io so’ io, e voi nun siete un cazzo!».
Un compendio mirabile di quell’atteggiamento che si può definire brevemente, egotismo. Termine che ritroviamo simile in inglese e in francese deriva con tutta evidenza dal latino ĕgo, ossia «io», in una evidente degenerazione concettuale che possiamo anche indicare come latinismo. Con questa parola, dunque, si indica l’atteggiamento psicologico (diverso dall’amor proprio e dall’egoismo) che consiste nel culto di sé e nel compiacimento narcisistico e raffinato della propria persona e delle proprie qualità, in buon sostanza nella “stima eccessiva di sé che induce ad attribuire valore solo alle proprie esperienze e a parlare esclusivamente di sé”. La sua diffusione in Europa si deve allo scrittore francese Stendhal che intitolò uno dei suoi capolavori Souvenirs d’égotisme, scritto nel 1832 e pubblicato nel 1892.
Nel parlare comune il concetto viene espresso più frequentemente con egocentrismo, che ne è sinonimo, ma ai fini di questa riflessione ci è parso più utile impiegare il termine che possiamo definire più raro o dotto, per così dire, sempre restando nell’ironica metafora.
Una parola che entra nella lingua italiana nel settecento, importata culturalmente da molte dotte pubblicazioni inglesi. La prima attestazione si ha nel 1764 con la Frusta letteraria, rivista del Baretti che arrivò anche ad utilizzare il verbo derivato di egotizzare.
Pur rimanendo eminentemente un termine colto nell’ottocento entra a pieno titolo nel campo giornalistico e letterario soprattutto in direzione di un’analisi psicologica dell’individuo che ne manifesta i segni. E nella psicologia lo studio dell’atteggiamento compulsivo di natura egotista diviene oggetto di studio e approfondimento.
Non è oggetto di questa digressione, approfondire questa tematica e a questo livello. Utile è invece, come sempre, trasferire il valore della parola nel contesto della nostra quotidianità e della vita sociale e politica nella quel siamo immersi.
Ecco, dunque, in questo ambito che si delinea senza difficoltà la similitudine stretta tra l’egotista (cioè il portatore di egotismo) e certe figure del nostro panorama politico. Con diverse gradazioni abbiamo conosciuto contaballe, propalatori di certezze illusorie, autori di promesse in continuo divenire. Ma, probabilmente, nessun vero egotista. Abbastanza facile identificare i personaggi di questo genere di comportamenti.
Sull’egotismo, invece, l’analisi è più complessa ma, basta poco e questi giorni in cui si è svolta la festa dei cinquestelle a Palermo, ne hanno permesso la chiara individuazione. Così come il marchese del Grillo, la figura in cui si sostanzia il portatore di egotismo è certamente quella del leader, anzi del guru del movimento, che soltanto per un casuale coincidenza ha lo stesso cognome del personaggio ottocentesco.
La kermesse che ha visto riuniti i dirigenti (non dirigenti, pardon, del movimento senza statuto) ha visto qua e là più per interessamento giornalistico (ripagato peraltro con fischi, spintoni e minacce) apparire e scomparire qualche “personaggetto” come lo definirebbe il governatore della Campania nell’interpretazione ironica del comico Maurizio Crozza. Ma è stata soprattutto l’occasione per vedere plasticamente prendere corpo quella che Berlusconi avrebbe definito la “ridiscesa” in campo proprio di lui, del guru, da cui tutto (con il supporto di Casaleggio) ha avuto inizio! Una ridiscesa che è stata introdotta scenograficamente dalla verve teatrale che non gli manca certo, ma soprattutto da un tuonante e fragoroso “ebbene sì, sono… tornato”!
Frase accolta da applausi e delirii tra i presenti in piazza, dopo il passo di lato di qualche mese fa che sembrava a dire il vero più un paso doble. La scomparsa di Casaleggio e lo sbando di molti settori pentastellati (sbando rispetto a cosa è difficile da comprendere, ma tant’è) hanno convinto il leader a tornare sul proscenio e a riprendere le fila del movimento, parlando di sé, concentrando su di sé l’attenzione di tutti e, soprattutto, mandando forte e chiaro il messaggio ai suoi seguaci: “io so’ io e voi nun…!”
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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::1560::/cck::