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Malgrado l’intervento del Presidente della Repubblica ed i suoi inviti all’umiltà, all’apertura al dubbio, al confronto, proseguono gli episodi di riconoscimento tardivo dello stato di non colpevolezza. Quanto di ciò dipende da carriere basate sugli scoop?
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Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella aveva da poco suggerito ai magistrati maggiore “… umiltà, come costante attenzione alle conseguenze del proprio agire professionale, apertura al dubbio sui propri convincimenti e disponibilità a confrontarsi con le critiche legittime ai modi con cui si amministra la giustizia …”, quando la notizia delle assoluzioni di Marino, già sindaco di Roma, e di Cota, già Governatore del Piemonte, riportate con enfasi da quella stessa stampa che qualche anno prima li aveva linciati e costretti alla resa, ha convinto anche Giovanni Legnini, Vice Presidente del CSM, a spendere una parola per tentare di riportare nei ranghi gli artefici di quel grave disagio che affligge da decenni il Paese; ovvero la politica, la magistratura e la stampa, chiedendo, da un canto, “ai magistrati di applicare il codice accertando fatti e circostanze anche a favore delle persone indagate”, dall’altro, ai partiti “di fare pulizia in casa propria”, ed essere più rigorosi! Il suo intento era sincero, ovvero di ridurre alla ragione i loro gli animi e restituire ai cittadini quella speranza che hanno perso in un “servizio” che langue da tempo grazie a reciproche invasioni.
Immediate le domande di Edmondo Bruti Liberati, già Presidente dell’ANM e da sempre strenuo difensore della categoria: quanto numerose sono state le condanne e quanto poche le assoluzioni? E cosa aspettano i Partiti a fare pulizia dall’interno? Vale a dire: qualche errore ci può anche stare, ma è il prezzo della giustizia.
Poi ancora dichiarazioni, da una parte e dall’altra: dal Ministro Orlando, contro l’uso politico della giustizia, all’ex assessore alla legalità di Roma, Alfonso Sabella, che invita i politici a convivere con le inchieste.
Tutte un po’ scontate, un po’ profetiche; tutte che lasciano prevedere che disagio e disservizio non saranno eliminati e che le cose rimarranno come sono; il Paese continuerà ad andare a rotoli per soddisfare esigenze improprie ed a negare giustizia ai cittadini.
Eppure l’idea era buona. Non era contro la magistratura, né contro la politica, né contro i media. Anzi.
Nessuna vendetta, nessuna punizione; solo maggior senso di responsabilità per gli uni e per gli altri; e assolutamente, non punire chi ha sbagliato in buona fede, sia egli un giornalista, un politico o un magistrato; ma solo chi ha agito in malafede. Ovverosia quanto la legge già prevede.
D’altronde già Calamandrei, forse senza saper a che punto saremmo arrivati, ai suoi tempi insegnava: “lo scandalo è l’anima della democrazia”. E mutatis mutandi, quale inquirente, o anche quale politico, si assumerebbe la responsabilità di una decisione necessaria di cui dovesse poi temere di rispondere in caso di un suo denegato errore.
Forse si sarebbe potuto anche evitare, almeno in futuro, di costruire le carriere in base agli scoop di non riconoscere meriti prima della prova dei fatti; ovvero prima che il giudizio sia finito.
Ma ahinoi, non sembra sia ancora questo il tempo. Forza e coraggio.
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::autore_::di Angelo R. Schiano::/autore_:: ::cck::1576::/cck::