Economia

USA – Election Day: la nuova America

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La sede della Federal Reserve a Washington. Foto di Dan Smith - Opera propria, CC BY-SA 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=27323
Scenari di politica economica condizionati dalla tendenza che aggrava la posizione debitoria degli USA nei confronti del mondo, con creditori sempre più potenti che iniziano a dettare condizioni e termini.

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Rapporto tra saldo delle partite correnti e PIL in USA. Fonte: Goofynomics

L’elezione del 45° presidente degli Stati Uniti ha monopolizzato l’attenzione dei media nelle ultime settimane, soprattutto per le differenti figure dei candidati alla camera ovale di Washington.
Per la prima volta sembra che la figura del candidato repubblicano, il tycoon Donald Trump, abbia messo d’accordo tutta la stampa internazionale, diventando lo spauracchio per la diplomazia mondiale e per il progresso del nostro pianeta.
All’interno dello stesso partito repubblicano, le dichiarazioni di dissenso e distacco sembrano apparire perlomeno strane, in virtù di posizioni di forza che rimangono incomprensibili per coloro che non sono così addentro alle faccende d’oltreoceano.
Nel leggere i programmi dei due candidati possiamo sottolineare quelle che possono essere delle sostanziali differenze tra l’impostazione della democratica Hillary Clinton rispetto all’atteggiamento del conservatore Donald Trump, sia sugli aspetti etici, sia sulle prospettive politico economiche.
In tema di proposte, lo schieramento democratico rappresentato dalla Clinton spazia dall’energia pulita ai diritti civili, con l’apertura alla dignità umana e all’immigrazione, sottolineando certe misure di apparente socialità nella visione della società.
In opposizione, Trump punta sugli effetti di un ruolo maggiormente autarchico degli Stati Uniti, puntando sul recupero della dignità della classe media, con riforme fiscali e chiusura al commercio internazionale, con la negazione dei trattati sul libero scambio.
I punti di contatto, almeno sulla carta programmatica, sono la visione non democratica dell’atteggiamento della Cina ed il tentativo di ridurre il disavanzo commerciale.
Gli Stati Uniti, dopo la crisi del 2008, hanno utilizzato tutte le risorse che la politica monetaria metteva a disposizione, arrivando a un deficit del 12% del Pil.
Le azioni di Obama e della Banca Centrale hanno stabilizzato mercati ed economia, con una ripresa sia del Pil sia dell’occupazione, gravando però sul bilancio con il debito pubblico attestato quest’anno al 105%, debito detenuto in una buona percentuale dal governo cinese.
Le fanfare della piena occupazione vengono silenziate dai dati economici della locomotiva americana, che appare molto drogata dalla liquidità immessa dalla banca centrale, senza che i fondamentali industriali e di sviluppo siano tornati all’antico splendore.
Lo status del sistema monetario internazionale, con il dollaro come moneta di riserva per gli scambi, ha portato l’economia americana a subire nel tempo pesanti disavanzi dei saldi commerciali (vedi tabella), tendenza che aggrava la posizione debitoria degli USA nei confronti del mondo, con creditori sempre più potenti che iniziano a dettare condizioni e termini.
Appare evidente che, per riequilibrare le pendenze, l’America debba disperatamente trovare mercati di sbocco per le proprie esportazioni.
Il TTIP rimane una delle poche possibilità di rendere l’Europa meritevole di partnership, in mancanza della quale le strategie sul futuro dell’euro e sull’ostracismo tedesco potrebbero assumere sviluppi più netti e decisi.
La crescente forza della Cina, che inizia ad assumere la posizione di riferimento per tutto il continente asiatico, è il prossimo ostacolo da arginare per la politica americana, per cercare di mantenere il ruolo acquisito negli ultimi cento anni.
Il nuovo presidente si troverà dinanzi a scelte sempre più complesse, dettate dallo stato difficile dell’economia americana, con un dollaro sopravvalutato e crescente debito, sia pubblico che estero.
In una situazione tale, le possibili manovre andranno a discapito dell’Europa e soprattutto dell’Italia, che in caso di svalutazione del dollaro vedrebbe cadere il sottile surplus con il peggioramento delle esportazioni: fenomeni della globalizzazione.

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::autore_::di Gianluca Di Russo::/autore_:: ::cck::1636::/cck::

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