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L’esito della Conferenza Onu di Marrakech risuona come un instancabile appello alla responsabilità degli stati nazionali. E’ evidente che la sfida delle Nazioni Unite non è sul fronte scientifico/ambientale, ma sul piano politico.
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Si è conclusa nei giorni scorsi la Conferenza delle Nazioni Unite – Conference of Parties 22 Marrakech – sul cambiamento climatico.
E’ la prima Conferenza Onu riunita dopo la stipula dell’ambizioso Accordo di Parigi del dicembre 2015; non è un caso che il principale obiettivo della Conferenza di Marrakech sia proprio il monitoraggio e l’attuazione degli accordi parigini dello scorso anno.
L’accordo di Pargi – frutto della precedente conferenza Cop 21 – è stato presentato da 195 paesi firmatari come una decisiva svolta tra le odierne politiche internazionali e la neutralità del fattore climatico. Sulla scia di una inequivocabile presa di coscienza, l’accordo tenta di fissare alcuni punti cardine per il medio e il lungo termine:
• Mantenere l’aumento medio della temperatura mondiale ben al di sotto di 2°C rispetto ai livelli preindustriali, se possibile entro 1,5; ma soprattutto fare in modo che le immissioni globali non vadano oltre i livelli massimi al più presto possibile, pur riconoscendo che per i paesi in via di sviluppo occorrerà un lasso di tempo di maggiore;
• la responsabilità degli stati nazionali è la fissazione di un regime dedito alla trasparenza per l’imminente incontro/scontro di nuovi impatti climatici;
• fornire ai paesi in via di sviluppo un sostegno internazionale continuo e più consistente all’adattamento;
• inclusione diretta delle regioni, città, enti locali, per la riduzione delle emissioni.
In uno stato di continuità l’ultima Conferenza Onu, tenutasi sul suolo africano, ha riallacciato la propria azione politica in base a quanto stabilito dagli Accordi di Parigi, fino al Protocollo di Kyoto redatto nel ’97. Attuare gli accordi parigini e l’istituzione di un Fondo Verde dei paesi in sviluppo rispecchiano gli ambiziosi obiettivi della Conferenza di Marrakech.
Nonostante la volontà, l’istituzione di un Fondo Verde per i paesi in via di sviluppo continua a incutere, comprensibilmente, timori e scetticismi ai paesi donatori: come saranno spesi questi soldi?, quali interferenze di natura politica potranno presentarsi? Infatti, ancora una volta, su questo punto la dichiarazione di Marrakech si è chiusa con un nulla di fatto e con un ennesimo rinvio.
Pur sottolineando più volte le temerarie premesse della Conferenza, ponendo l’immediata esecuzione degli Accordi di Parigi, la dichiarazione conclusiva risuona come un instancabile appello alla responsabilità degli stati nazionali per il futuro: garantire la sicurezza del cibo ed adottare azioni stringenti per affrontare le sfide del cambiamento climatico in agricoltura e aumentare la cooperazione per colmare il divario fra gli attuali trend di emissioni e il percorso necessario per conseguire gli obiettivi di lungo termine sulle temperature dell’Accordo di Parigi.
Ma la sfida delle Nazioni Unite non è soltanto sul fronte scientifico, lo è soprattutto sul piano politico: l’elezione alla Casa Bianca di Donald Trump non è passata inosservata.
Durante la campagna elettorale, Trump si è dichiarato a favore delle energie tradizionali e ha chiaramente auspicato un ritorno all’energia del carbone, respingendo il concetto stesso di riscaldamento globale in quanto: bufala, inventata dai cinesi per danneggiare la competitività dell’economia americana.
E’ pur vero che in campagna elettorale si può dire qualsiasi cosa, un po’ meno quando le vinci; ma lo scenario posto dal nuovo inquilino della Casa Bianca solleva innumerevoli preoccupazioni per la sfida al cambiamento climatico: basti pensare che insieme alla Cina, gli Stati Uniti è il principale produttore di emissioni inquinanti.
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::autore_::di Giovanni Capozzolo::/autore_:: ::cck::1670::/cck::