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Una deriva autoritaria ha investito la Turchia dopo il fallito colpo di stato, culminata con l’arresto dei parlamentari del partito curdo HDP nel silenzio della UE che attraversa una stagione d’intolleranza.
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Il disegno di legge presentato recentemente dal partito di governo AKP che prevede la depenalizzazione del reato di violenza sessuale sui minori se l’atto è consensuale ed il suo autore accetti di sposare la vittima, rappresenta l’ennesimo atto della deriva fondamentalista che il Presidente Recep Tayyip Erdogan, ha deciso di imprimere al proprio paese.
Sulla scia dello stato d’emergenza instaurato dopo il tentato golpe del 15 luglio scorso, il leader di Ankara sta procedendo a marce forzate verso un’islamizzazione del gigante anatolico, cercando di cancellare le riforme secolari che avevano connotato la Turchia dai tempi di Ataturk.
A farne le spese sono soprattutto quelle istituzioni che negli ultimi decenni avevano garantito un valido contrappeso al potere politico cioè la magistratura, le università e l’esercito. Dall’estate ad oggi centinaia di giudici sono stati rimossi dai loro incarichi, accusati di essere la longa manus del predicatore Fetullah Gulen, diventato il supremo capro espiatorio del fallito colpo di stato.
A colpi di decreti esecutivi che scavalcano il Parlamento, Erdogan ha poi cancellato l’autonomia degli atenei, arrogando a sé il diritto di nominare i rettori e dunque di decidere il merito dei programmi da sottoporre agli studenti. Per quanto riguarda invece l’esercito e le forze di sicurezza, da luglio migliaia di ufficiali e soldati sono stati arrestati o espulsi dai rispettivi corpi con l’accusa di aver fatto parte della congiura contro il Presidente ed i suoi accoliti. Una repressione a tutto tondo che sta riplasmando la Turchia con l’obiettivo di creare una Repubblica Islamica ispirata all’Impero Ottomano.
È ormai chiaro che il vero scopo di Erdogan è di cancellare le riforme che avevano definito il paese nell’ultimo secolo, a cominciare dai diritti delle donne e delle minoranze. Ma lo schiaffo più pesante a quel che resta dello stato di diritto turco, è l’arresto dei parlamentari del partito curdo HDP, accusati di aiutare la guerriglia del PKK. Dei fermi arbitrari che di fatto delegittimano il parlamento, facendo della Turchia una Repubblica Presidenziale a tutti gli effetti, senza però i contrappesi che distinguono le altre nazioni che hanno questa forma di governo.
E l’Unione Europea come sta reagendo a tutto ciò? Per ora la parola che prevale nei corridoi di Bruxelles è prudenza. I leader europei infatti hanno il timore che criticare le recenti scelte di Erdogan significhi mettere in discussione l’accordo sul contenimento dei profughi. Una scelta pavida e figlia della stagione d’intolleranza che sta contraddistinguendo il vecchio continente.
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::autore_::di Diego Grazioli::/autore_:: ::cck::1671::/cck::