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I napoletani difesero l’Europa

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Battaglia di Ostia di Raffaello Sanzio e allievi (1514-1515)
L’islam sembrava inarrestabile nella sua espansione. L’ambizione di convertire il mondo alla religione islamica era il propellente che spingeva la macchina bellica delle armate musulmane.

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Correva l’anno 849 dell’era volgare. L’islam sembrava inarrestabile nella sua espansione. L’ambizione di convertire il mondo alla religione islamica era il propellente che spingeva la macchina bellica delle armate musulmane.
L’unica potenza militare che avrebbe potuto fermare tale espansione era costituita dagli eserciti dell’Europa cristiana. Messe insieme, le forze europee avrebbero avuto poche difficoltà a formare una barriera contro cui  le onde della marea montante dell’islam si sarebbero infrante, ma sfortunatamente questa unità non sussisteva.
Impegnate a combattersi tra loro, le Nazioni del vecchio continente erano poco attente a ciò che avveniva nel nord Africa.
Leone IV, fu posto sul soglio di Pietro il 10 Aprile dell’847, centotreesimo papa della Chiesa Cattolica. Era nato a Roma, ma di chiara stirpe longobarda. Ex monaco benedettino, divenne Papa in un momento in cui l’Italia ed in particolare Roma erano sotto la minaccia delle incursioni saracene.
Era chiaro agli islamici che per invadere l’Europa e convertirla alla religione del Profeta Maometto, occorreva prima sbarazzarsi del centro nevralgico del cristianesimo. I tempi della riforma erano ben lontani e l’intero Occidente considerava ancora Roma un punto di riferimento spirituale e morale insostituibile.
L’anno precedente, nell’846, durante il pontificato di Papa Sergio II, armate africane sbarcate sulle costa dell’Italia centrale, avevano assalito Civitavecchia e Ostia.
Dopo averle depredate volsero il loro poco amichevole sguardo verso la città di Roma. L’Urbe era difesa da mura formidabili costruite ai tempi dell’impero e l’impresa di saccheggiarla non riuscì, ma San Pietro e San Paolo si trovavano fuori dal perimetro difensivo. San Pietro era difesa da una guarnigione di soldati reclutati nel nord Europa.
La resistenza che riuscirono ad opporre fu esemplare, ma alla fine, sopraffatti furono sterminati e le due basiliche profanate.
Già nell’830 si era verificata un’altra incursione saracena ed anche in quel caso gli africani depredarono parecchie città laziali distruggendo il cenobio di Subiaco con l’intero abitato.
La situazione che dovette affrontare Papa Leone fu quindi gravissima. Per evitare che le basiliche romane potessero di nuovo subire l’onta del saccheggio iniziò la costruzione di mura di protezione che da allora furono chiamate ‘mura leonine’. Questo tuttavia non bastava a scoraggiare i saraceni che anche se non fossero riusciti a conquistare Roma avrebbero comunque portato morte e distruzione nella campagna romana e nelle altre città laziali.
Verso l’inizio dell’estate dell’849, iniziarono ad arrivare le prime allarmanti notizie di una flotta africana che si stava concentrando sulle coste della Sardegna, pronta a ripetere le incursioni degli anni precedenti. Le principali città della Campania: Napoli, Gaeta, Sorrento ed Amalfi, capirono che se non avessero fermato gli islamici, il mediterraneo sarebbe caduto nelle loro mani ed armata una flotta, la affidarono al comando del valoroso console Cesario di Napoli il quale si era già distinto in altre battaglie contro i saraceni.
Papa Leone, incontrò gli equipaggi campani capitanati da Cesario lontano da Roma, celebrò la messa solenne di fronte a loro ed impartì la benedizione a tutti gli equipaggi delle navi, chiedendo l’aiuto divino per la vittoria dei cristiani e la salvezza di Roma.
Il giorno dopo, una poderosa flotta musulmana venne avvistata all’orizzonte e le navi di Cesario si avventarono contro di loro. La battaglia che ne seguì fu terribile. Per la prima volta dal tempo dei romani, una flotta italica combatteva per difendere Roma e l’Italia.
L’esito dello scontro fu incerto per tutta la giornata, ma alla fine grazie anche ad una tempesta che affondò parecchie navi saracene, i campani guadagnarono la giornata.
Fu la più importante vittoria cristiana molto tempo prima di Lepanto.
Se l’esito dello scontro fosse stato sfavorevole per la flotta italica, Roma sarebbe probabilmente caduta e gli africani avrebbero usato quella vittoria morale e quella testa di ponte per minacciare l’intera Italia e l’Europa.
Fu l’eroismo dei ‘napoletani’ a salvare la cristianità. Roma non mostrò molta gratitudine ai campani, preferendo attribuire la vittoria, più alla sopravvenuta burrasca che al valore degli equipaggi.
Oggi è difficile trovare sui libri di storia anche soltanto qualche semplice cenno a questo episodio. In un’epoca in cui vanno di moda i secessionismi, l’anti meridionalismo, l’anti italianismo e l’ignoranza elevata a sistema o peggio ancora a virtù, dovremmo invece ricordare che se possiamo ancora definirci cristiani, europei ed occidentali, lo dobbiamo ad un pugno di eroici ‘meridionali’ che ebbero il coraggio di fronteggiare un nemico potente e determinato.
Saremmo oggi in grado di ripetere ciò che fu fatto in quella lontana calda estate di quasi milleduecento anni fa?
I fatti sembrano suggerire di no.
Non soltanto nei governi, ma anche all’interno della Chiesa Cattolica, qualcuno dovrebbe ricordare che la civiltà e le proprie tradizioni non si difendono soltanto con la misericordia e l’accoglienza, ma a volte purtroppo occorre impugnare la spada per difendere quei valori di cui andavano fieri gli equipaggi partenopei e che oggi abbiamo forse irrimediabilmente messo da parte sostituendoli con atteggiamenti che spesso sembrano più il frutto di una sorta di autolesionismo che di vera carità cristiana.

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::autore_::di Riccardo Liberati::/autore_:: ::cck::1752::/cck::

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