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Black Hole referendario

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Cerimonia di insediamento del Governo Gentiloni 2016. http://www.governo.it/media/cerimonia-di-insediamento-del-nuovo-governo/6294
La prova lampante di questo assunto è nel dibattito se così possiamo chiamarlo sulla legge elettorale. In attesa che la prossima settimana la Corte Costituzionale abbia deciso la sorte dell’Italicum e creato le premesse di un ulteriore vuoto politico.

La morsa del freddo artico, la sferza del vento di burian che arriva dai bassopiani della Russia e insieme la preponderanza della cronaca spesso criminale nazionale ed internazionale, non possono non far notare un vistoso black hole nella nostra quotidianità: quello della politica alle prese con il dopo referendum.
Una pausa di riflessione, si potrebbe dire, in attesa delle decisioni da prendere figlie comunque del risultato del voto di dicembre. Sia consentito qualche dubbio rispettoso ma sempre dubbio! Era inevitabile e prevedibile anche ad un semplice osservatore comprendere che al di là della battaglia campale contro le riforme, dietro ai falansteri degli slogan e delle critiche feroci, delle accuse, vi fosse qualcosa di molto semplice: il nulla! Vale a dire che nulla era stato pensato per affrontare il dopo. Un dato di fatto che accomuna per certi versi anche chi il referendum lo ha perso e si trova alle prese con il da farsi.
E’ però evidente che soprattutto i vincitori non avevano ritenuto necessario pensare ad un dopo fatto di scelte e di passi importanti e questo per l’indubitabile ragione che trattandosi dei maestri, dei soliti maestri del temporeggiamento eletto a forma politica, il dopo per costoro è quello delle interminabili analisi, dei confronti o scontri solo apparenti, della ricerca di compromessi, di passi e passetti incapaci di modificare il paese e la sua struttura istituzionale.
La prova lampante di questo assunto è nel dibattito se così possiamo chiamarlo sulla legge elettorale. In attesa che la prossima settimana la Corte Costituzionale abbia deciso la sorte dell’Italicum e creato le premesse di un ulteriore vuoto – non certo per sua responsabilità ma per inevitabile risultato della scomposizione del sistema – nel cammino verso questo famoso e irrinunciabile “dopo”.
Nessun cittadino italiano riesce infatti a comprendere – sia favorevole a votare che inveterato astensionista – di cosa si stia realmente parlando tra esponenti dei diversi partiti e addirittura all’interno degli stessi partiti e movimenti. E’ come se assistessimo al cedimento dell’impalcatura di un soufflè dopo la cottura e in attesa di nutrirsene. Tornano in auge analisi che sembravano superate dal secolo scorso, disquisizioni sul come gli italiani vorrebbero andare a votare e sulle loro preferenze per scelte semplici o complesse, articolate o lineari. Ecco dunque che si conciona di preferenze ineliminabili per la democrazia (ma non erano l’anticamera del voto di scambio?), di proporzionale puro, di proporzionale con correzione maggioritaria, di maggioritario ad uno o più turni con o senza sbarramenti percentuali o con pezzi di proporzionale (vedi mattarellum). Ancora di proporzionale con soglie elevate (ossia la negazione del concetto stesso)!
Insomma, ogni giorno assistiamo al batti e ribatti sull’andare presto a votare, sul governo a termine, e allo stesso tempo sulla necessità di riflettere attentamente su come andare a votare e quindi lasciare il governo al suo posto fino alla conclusione. In pratica, due posizioni inconciliabili e antitetiche che non permettono di guardare con chiarezza al prossimo futuro. Se a questo aggiungiamo le divisioni all’interno stesso dei partiti, alle molteplici sfumature che si manifestano, non si può non lasciarsi andare ad un senso istituzionale, per così dire, di scoramento. Alla sensazione gattopardesca di una realtà che si vuole comunque immutabile anche a costo di non cercare per nulla di capire i reali sentimenti del popolo italiano, fingendo tuttavia di farne oggetto di confronto e di scelta.
Senza dimenticare quanti, al colmo dei colmi, sembrano soltanto fiutare l’aria e si esprimono ora in un senso ora nell’altro cercando di intercettare il modo migliore o favorevole a se stessi. Insomma, un buco nero senza storia che tuttavia in ossequio alla sua natura di corpo celeste continua ad inghiottire e a triturare tutto senza ritorno. Solo che in gioco c’è l’equilibrio democratico e la funzionalità del sistema istituzionale del paese da troppo tempo lasciato a se stesso o sottoposto a rimedi peggiori del male.
Un paese fermo da almeno 25 anni, che da 25 anni non cresce né nell’economia, né nella società e la cui realtà continua ad essere incubatrice di tensioni e difficoltà crescenti aggravate dal fenomeno dei migranti a sua volta non eliminabile ma soltanto governabile nel medio e lungo termine in modo sempre più coerente e determinato e non alla giornata come si è fatto sino ad ora.
Ecco perché è sconfortante questa sensazione di vacuum che affiora dall’inanità della politica, dal suo essere volutamente ferma al palo, aver anzi combattuto per rimanere a quel palo, fingendo di porre grandi interrogativi costituzionali ma senza volontà alcuna di affrontarli e dare risposte.
Con un rischio immanente. Più questo senso di vuoto è palpabile più porta acqua al mulino del qualunquismo, sia esso “lepenista” o “pentastellato”. Risposte pericolose per il futuro del paese. Perché entrambe quelle tendenze sono sintomi della crisi, manifestazioni evidenti del morbo che attacca il corpo del paese e non certamente risposte o cure che possano aiutarlo ad uscire dalla palude pluridecennale nella quale si attanaglia! Ogni ritardo, ogni perdita di tempo palese, aumenta la febbre e rafforza il morbo. Sarebbe ora di svegliarsi e rendersene conto e non flirtare in nessun modo con esso, non farsi volutamente vittima del suo opportunismo. Anche se purtroppo non va taciuto che quell’opportunismo è da sempre un connotato non certo positivo che ci accompagna (sindrome nella quale peraltro non sembriamo essere soli in Europa e nel mondo)!

di Roberto Mostarda

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