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Scenari rischiosi a livello mondiale nel caso di “ipernazionalismo” della gestione Trump. Il rischio: la possibile perdita dei tanti passi avanti cui hanno contribuito gli organismi internazionali targati ONU.
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ROMA, 30 gennaio 2017 (IPS) – Appena 48 ore dopo che Donald Trump è diventato presidente degli Stati Uniti si è appreso che all’inizio di questo mese è stato presentato al Congresso degli Stati Uniti un disegno di legge per rimuovere quel paese dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU).
Secondo il sito web del Congresso, il progetto H.R. 193 – noto come la Legge di Restaurazione della Sovranità Statunitense – è stato presentato alla Camera dei Rappresentanti il 3 gennaio ed è stato assegnato alla Commissione per gli Affari Esteri.
Anche se il suo titolo ufficiale indica che l’atto intende far cessare l’appartenenza degli Stati Uniti all’ONU, l’iniziativa legislativa si propone anche di revocare l’accordo del 1947, che consente che la sede ONU sia nel territorio degli Stati Uniti, porre fine alle operazioni di mantenimento della pace, far cessare l’immunità diplomatica ed interrompere la partecipazione all’Organizzazione Mondiale della Salute.
Se il disegno di legge sarà approvato, la legge entrerà in vigore due anni dopo la sua firma.
Tuttavia, l’iniziativa legislativa “ha solo sei sponsor al momento – una manciata di repubblicani di destra e libertari – quindi dubito che vada molto lontano”, ha detto un professore di politica americana.
Indipendentemente dal numero di sponsor e se il progetto sarà alla fine approvato o no, il fatto è che l’intenzione del governo di Trump di ritirarsi dalle Nazioni Unite sarebbe di facile applicazione.
In realtà, basterebbe che Washington si astenesse dal pagare la sua quota del foro mondiale -o anche ritardasse il pagamento- perché crollasse l’intera struttura delle Nazioni Unite.
La bancarotta delle Nazioni Unite
Ciò si verificherebbe in uno dei peggiori momenti delle finanze dell’organizzazione con sede a New York, e, infatti, è in bancarotta. Giorno dopo giorno, le sue agenzie – dal Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (UNICEF) fino all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati – lanciano appelli disperati alla ricerca di fondi per far fronte a una crisi umanitaria senza precedenti.
Inoltre, l’eventuale ritiro degli Stati Uniti lascerebbe l’ONU nelle mani delle grandi aziende private. Negli ultimi anni, diverse multinazionali sono state i principali donatori di operazioni umanitarie nel forum mondiale.
Questo scenario porterebbe questo sistema multilaterale unico ad essere diretto da grandi aziende. Questo rischio non si deve escludere, poiché in questo caso l’ONU fornirebbe una necessaria copertura “legale” delle loro azioni, qualsiasi esse siano.
L’ONU? E’ soltanto un club!
Il Presidente Trump ha riassunto il suo pensiero sull’organizzazione internazionale in uno dei suoi messaggi al social network Twitter, quando ha scritto “l’ONU ha un grande potenziale, ma in questo momento è solo un club per persone che vogliano incontrarsi, conversare e divertirsi”.
Questo non è certamente il caso dei milioni di donne e ragazze che rappresentano il 71 per cento delle vittime della tratta, come ha denunciato in dicembre l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga ed il Crimine. Tanto meno il fatto che i bambini costituiscano quasi un terzo di tutte le vittime del traffico di esseri umani in tutto il mondo.
Né è il caso di un terzo delle donne di età compresa tra i 20 ei 24 anni che si sposarono ancora minorenni, e neanche di coloro che ogni 10 minuti da qualche parte nel mondo, ancora donne adolescenti muoiono a seguito di violenza, come indica l’UNICEF nel suo rapporto di monitoraggio statistico, pubblicato nel luglio 2016.
Per non parlare dei 2.400 milioni di persone non hanno accesso a servizi igienici adeguati, tra cui 946 milioni che sono costretti a defecare all’aperto per mancanza di altre opzioni, e che 16.000 bambini muoiono ogni giorno, per cause in maggior parte prevenibili o curabili.
Tutte queste vittime di violazioni dei diritti umani – che spesso sono stati perpetrati da alleanze militari guidate dagli Stati Uniti e da altri membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite – e che hanno direttamente subito le conseguenze di massicci interventi militari dipendono dall’aiuto del foro mondiale.
Molte entità fondamentali dell’ONU sono state create sette decenni fa principalmente per fornire assistenza umanitaria a milioni di vittime del conflitto poi diventato la seconda guerra mondiale. L’UNICEF, per esempio, ha soccorso cinque milioni di bambine e bambini europei in tale occasione.
Chi dovrebbe ospitare il forum globale?
Quale paese ospiterebbe l’ONU, se il disegno di legge per revocare l’accordo del 1947, che consente la sua sede legale negli Stati Uniti? E chi potrebbe sostituire il contributo degli Stati Uniti al suo budget?
Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, gli Stati Uniti contribuiscono per il 22% del bilancio dell’organizzazione in cambio di un accordo non scritto in base al quale una percentuale equivalente di personale chiave per il processo decisionale del Global Forum è nominata da Washington.
Agli Stati Uniti segue il Giappone, con una quota del 9,68 per cento, seguito da Cina (7,921 per cento), Germania (6,389 per cento), Francia (4,859 per cento) e Gran Bretagna (4,463 per cento). Al sesto posto nella lista è il Brasile, che contribuisce per il 3,823 per cento del bilancio.
Nessuno dei principali contribuenti al bilancio delle Nazioni Unite potrebbe sostituire la quota degli Stati Uniti, oltre alla propria.
Inoltre, le potenze europee continuano ad affrontare le conseguenze della crisi finanziaria generata nel 2007 da grandi società finanziarie private con sede negli Stati Uniti e in Europa.
Si aggiunga a ciò il fatto che l’Europa sta assistendo alla nascita di partiti di destra, ultra-conservatori, xenofobi, nazionalisti e populisti che favoriscono l’ascesa di Trump al potere.
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(*) Baher Kamal, nato in Egitto, cittadino spagnolo, con più di 40 anni di esperienza professionale, da reporter ad inviato speciale a editore capo di quotidiani ed agenzie internazionali, direttore di Inter Press Service.
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