La parola

Scissione

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Parliamo della scissióne continuamente evocata, vagheggiata per improbabili e antistoriche palingenesi o temuta per le conseguenze variabili che potrebbero derivarne.

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E’ da mesi come un sibilo insistente, che attraversa la politica italiana e soprattutto il partito democratico. Parliamo della scissióne continuamente evocata, vagheggiata per improbabili e antistoriche palingenesi o temuta per le conseguenze variabili che potrebbero derivarne.
La parola indica senza mezzi termini e senza enfasi la separazione. Deriva dal verbo scindere e ne sottolinea quasi la conclusione del percorso dello scindersi, cioè del dividersi, del separarsi. Esistono, come sovente accade, molteplici ambiti nei quali tale termine viene usato, dalla scienza, alla fisica alla chimica dove rappresenta precisi stadi della materia o processi che la investono. L’aspetto che ha però il maggior impatto è certamente quello che riguarda avvenimenti in gruppi sociali, economici, politici, come nei partiti. Vi sono anche esempi eclatanti di fenomeni di questo genere in movimento artistici o letterari. Sempre si assiste tuttavia alla divisione in due o più nuovi gruppi, provocata da divergenze insorte sui principî, sui metodi, sulle finalità.
Con significati più tecnici, come dicevamo, in biologia, si parla di riproduzione per scissione, intendendo il processo di riproduzione caratteristico degli organismi unicellulari, come anche di scissione multipla. In chimica, si tratta di un termine generico che può essere usato per indicare le operazioni nelle quali una molecola, con opportuni trattamenti, si divide nelle sue parti costituenti, quali la decomposizione, la pirolisi, l’idrolisi, la dissociazione ionica e quella gassosa, ecc. Altro campo in cui la parola ha un significato preciso è quello della fisica nucleare, dove tale termine è impiegato ma meno usato di quello di fissione.
Al di là dei significati più scientifici, nei quali l’evento è il segnale di un punto di non ritorno della materia ad esempio o degli organismi viventi, ma in qualche modo collegato a questo valore oggettivo, le dinamiche delle scissioni nei consessi umani, nelle forze politiche possono avere diverse origini e diverse chiavi di lettura.
E’ indubbio che quando si comincia a parlare di scissione, la si minaccia, la si paventa, ci si trovi di fronte ad un’evoluzione in qualche modo presente nelle premesse, nella storia del soggetto in cui si determina. In certo senso si potrebbe dire che la maturazione di determinate problematiche ha come frutto inevitabile il processo di divisione. Non è però una regola. A volte infatti il meccanismo divisorio che porta alla scissione è diciamo così esterno e provocato e si poggia su elementi interni che ne diventano portatori sino alle estreme conseguenze.
Nel primo caso, la conseguenza è frutto di una maturazione necessaria o naturale, di un modificarsi delle caratteristiche. Di un processo non certo irresistibile ma che trova sufficienti ragioni per la sua manifestazione ed evoluzione.
Nel secondo, siamo invece nel pieno di fenomeni che attengono alle interazioni non sempre lineari e positive tra diversi orientamenti e movimenti.
Quel che accade da mesi , forse più, all’interno del partito democratico presenta elementi dell’una e dell’altra fenomenologia, in un continuo modificarsi e rincorrersi. E’ storicamente assodato che la tendenza allo scindersi fa parte integrante del dna della sinistra politica. Nel nostro come anche in altri paesi, il cammino dei partiti di sinistra è costellato, punteggiato, caratterizzato da divisioni progressive nelle quali una parte si intesta la purezza dell’idea e nella sua strenua difesa, anche contro logica e storia, ne porta avanti le presunte ragioni sino a dividersi dal resto. Quel che è accaduto e accade a chi si incammina in questi sentieri non è quasi mai positivo e porta all’irrilevanza da un lato e alla crisi profonda nella struttura che si lascia ancorché all’inizio possa apparire più coesa ed unita. La conclusione dell’esperienza del Pci ne è dimostrazione palmare con il suo corredo di sigle, partitini, gruppetti che ne sono risultati.
Quel che accade al Pd è però frutto anche di altri elementi storici, politici, sociali. Abbiamo di recente sottolineato come l’unione originaria delle tradizioni comunista e cattolica sia stata in sostanza una “fusione fredda”, un esperimento necessitato e costruito a tavolino dagli eredi dei due grandi movimenti dell’Italia del dopoguerra. Un’unione comunque tra opposti, malgrado la parte cattolica coincidesse con le posizioni più sindacali e progressiste della fu balena bianca. La diversità ontologica di queste posizioni è stata in principio sopita per la necessità di trovare elementi di unione  o di comune visione dinanzi al centrodestra berlusconiano e alla fine della prima repubblica, ma è rimasta sempre a covare sotto le ceneri. E, soprattutto non ha dato origine a divisioni sino a che la dirigenza ex comunista ha avuto nelle sue mani le leve del partito, la sua organizzazione territoriale. Lo sfaldarsi storico, però della base comunista ha eroso questo patrimonio e liberato energie non con essa coincidenti e posto le premesse per una sorta di mutazione genetica verso altri lidi e modi politici, più legati all’altra tradizione (quella ex dc).
Di qui l’insofferenza crescente, il livore politico, l’incapacità di sintesi di molti esponenti ex comunisti che hanno iniziato un processo di separazione, sempre ovviamente in nome dell’unità ma arrivando paradossalmente ad una scissione prima mentale che pratica.
Le vicende del premier Renzi, delle sue riforme, il risultato del referendum sono state viste da costoro come il momento più favorevole per attaccare il “palazzo d’inverno” e tentare il ribaltone. Ed ora per dare una parvenza “democratica” appaiono diversi possibili contendenti antirenziani pur se l’obiettivo è uno solo: espungere l’anomalia rappresentata dalla leadership dell’ex sindaco di Firenze, quella che per loro è l’anomalia di una sorta di usurpatore di un diritto quasi divino a guidare l’area di sinistra nel paese. Una visione miope e retrograda che trova anche qualche sponda nella Cgil e che potrebbe avere come risultato quello di favorire la prevalenza di forze antisistema come i cinquestelle o un centrodestra molto lepenista! Forse più che per la purezza dell’idea sconfitta peraltro dalla storia, dovrebbero lavorare per una reale rappresentanza, maggioritaria, del popolo italiano e non perdersi in una sorta di pollaio di azzeccagarbugli!

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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::1853::/cck::

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