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Le celebrazioni per il sessantesimo anniversario della Comunità Economica Europea svoltesi a Roma la scorsa settimana sono state l’occasione per fare il punto sulla validità attuale del rivoluzionario progetto voluto dai padri fondatori per superare le tragedie della Seconda Guerra Mondiale.
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Le celebrazioni per il sessantesimo anniversario della Comunità Economica Europea svoltesi a Roma la scorsa settimana sono state l’occasione per fare il punto sulla validità attuale del rivoluzionario progetto voluto dai padri fondatori per superare le tragedie della Seconda Guerra Mondiale.
Quando nel 1957 i Capi di Stato di Italia, Germania Ovest, Francia, Olanda, Belgio e Lussemburgo diedero vita alla CEE, ancora non erano ben chiare le implicazioni che un accordo di tale portata avrebbe avuto nel tempo. Solo con i trattati di Maastricht e Schengen i cittadini delle nazioni coinvolte compresero l’enorme portata della rivoluzione cominciata in quel giorno di primavera a Roma.
Inizialmente l’indice di gradimento delle riforme adottate fu molto alto, con la sola eccezione della Danimarca, dove un referendum popolare lasciò fuori il paese dall’iter di integrazione economica, ma nelle altre nazioni, con passaggi successivi, per un decennio crebbe la voglia di Europa.
All’inizio del nuovo millennio però quando, secondo le tempistiche previste, venne introdotta in alcuni paesi la moneta unica, la musica cambiò. Non subito forse, ma in un breve lasso di tempo la scollatura tra le nazione nel centro e nord Europa e quelle dell’area mediterranea cominciò ad acuirsi. Paesi come l’Italia che per decenni avevano usato la svalutazione della moneta per favorire le esportazioni si trovarono all’improvviso nell’impossibilità di poter fruire di questo strumento dalle implicazioni controverse. La moneta unica infatti se da un lato toglie sovranità ad un paese dall’altro lo tutela da possibili attacchi speculativi e in un’epoca contraddistinta dalla cosiddetta globalizzazione, il poter contare su un’entità stabilizzante è un fattore di estrema importanza.
L’attuale Unione Europea composta da 27 paesi con una popolazione di oltre 500 milioni di abitanti è la più grande comunità economica del pianeta in grado di far sentire la propria voce sia nel campo economico che in quello dei diritti umani al resto del mondo. Non a caso fiumi di rifugiati cercano all’interno dei nostri confini un futuro migliore ed un numero sempre maggiori di investitori internazionali acquistano aziende e proprietà. Un appeal dovuto proprio ai parametri di garanzia che l’Unione ha saputo creare in questi anni.
Certo c’è anche un’altra faccia della medaglia ed è fondamentalmente rappresentata dalla sensazione di straniamento percepita da una grande fetta della popolazione europea che in questi anni ha visto ridurre il proprio potere di acquisto e di conseguenza la qualità della vita. Una percezione legittima ma che, proprio in virtù dell’ascesa di nuovi giganti economici planetari vedi Cina, Russia, le tigri asiatiche e le nazioni dell’America Latina (tutti paesi che per ragioni diverse erano rimasti fuori dai mercati globali per oltre mezzo secolo) sarebbe stata sentita comunque e senza il “potere” calmierante dell’Unione Europea in maniera sicuramente maggiore.
Con buona pace dei tanti populisti che in questa difficile era sono soliti parlare di un mitico tempo che fu, senza ricordare che ogni epoca ha le proprie sfide e la storia insegna che si è più forti uniti che separati.
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::autore_::di Diego Grazioli::/autore_:: ::cck::1921::/cck::