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Regno Unito: la fine di un’epoca

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London Bridge By Night Di DonDavid82 - Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=23239152
I tre attentati che nell’ultimo mese hanno devastato il Regno Unito, lasciando sul terreno quasi cinquanta persone, hanno definitivamente archiviato il modello d’integrazione britannico che durava da oltre mezzo secolo.

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I tre attentati che nell’ultimo mese hanno devastato il Regno Unito, lasciando sul terreno quasi cinquanta persone, hanno definitivamente archiviato il modello d’integrazione britannico che durava da oltre mezzo secolo.
Un sistema di tolleranza e responsabilità che aveva contraddistinto la Terra d’Albione dai tempi della fine dell’epopea coloniale, gravida di ricchezze ma anche di sfide future, prima tra tutte quella della convivenza tra culture e religioni diverse che arrivavano da quegli angoli del pianeta un tempo sudditi di “Sua Maestà”.
A differenza delle altre nazioni d’Europa infatti, le città britanniche sono divise in aree fortemente connotate da comunità che hanno mantenuto le tradizioni dei paesi di provenienza, dalla religione all’abbigliamento passando per le usanze alimentari. Un modello che ha tenuto per due generazioni d’immigrati, che nel Regno Unito hanno trovato opportunità di lavoro e quelle libertà spesso negate nei loro paesi d’origine, contraccambiando con una fedeltà assoluta alla monarchia ed ai suoi governi.
Da un decennio però, mutata la congiuntura internazionale e alle prese con una crisi economica comune a tutte le economie del vecchio continente, la situazione britannica è cambiata. Una fetta consistente delle cosiddette terze generazioni, appartenenti soprattutto alla numerosissima comunità musulmana, si sentono escluse dal sistema, che non riesce più a dare loro garanzie di benessere ed ascesa sociale, facendone dei disadattati. Un contesto che inculca nelle menti più labili una fascinazione per la propaganda terroristica di matrice islamica, l’unica in grado di fornirgli un senso di appartenenza.
È altresì indubbio che le campagne militari occidentali in Medio-Oriente: dal conflitto in Afghanistan alle due guerre del Golfo, per non parlare della mai risolta questione palestinese, abbiano indotto in alcuni tra i ragazzi più difficili e violenti la giustificazione ideologica per abbracciare le armi a compensazione dei presunti torti subiti nelle terre dell’Islam, diventando prima “foreign fighters” ed ora terroristi pronti a colpire in Europa.
Come ha dichiarato di recente un investigatore belga, riferendosi all’estremizzazione di molti ragazzi, sarebbe più giusto parlare di “radicali islamizzati” e non di “islamisti radicali”. Una differenza non da poco, che sottolinea che la visione fondamentalista della religione sia solo un pretesto per incanalare un disagio sociale che in contesti differenti si sarebbe manifestato in altre forme.
Aldilà delle speculazioni di carattere sociologico, l’altro fattore sul quale stanno lavorando le autorità del Regno Unito è il ruolo che il web ha avuto ed ha nella diffusione della propaganda jihadista. Nelle ore successive all’ultima strage di Borough Market infatti la premier conservatrice Teresa May ha annunciato una riforma delle attività di monitoraggio dei siti islamici radicali, mettendo da parte, almeno in questa drammatica stagione, la tutela della privacy, da sempre stella polare della democrazia britannica.
Tra i modelli che gli investigatori inglesi stanno vagliando per riformare la sorveglianza informatica ci sarebbe tra gli altri quello italiano, che consente agli inquirenti d’individuare chi transita nei siti di propaganda jihadista ed una volta condotte le indagini, se ritenuto a rischio, di espellerlo dal paese prima che vengano messi in atto propositi stragisti.

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::autore_::di Diego Grazioli::/autore_:: ::cck::2044::/cck::

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