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“Le mutande”: indumento intimo irrinunciabile, soprattutto per l’igiene e il benessere del corpo, nonostante l’utilità, nel corso dei secoli, ha avuto alterne vicende.
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“A signò volemo mutà ‘ste mutandis ?”
“Caterina le ho detto un migliaio di volte che mutate mutandis significa cambiare le cose che devono essere cambiate”
“Embè signò io che sto a dì? Le lenzuola devono esse cambiate, gli asciugamani devono esse cambiati, ce stanno pure un po’ de tovaglie…”
Purtroppo al mondo esistono milioni di Caterine che utilizzano da sempre questa citazione a loro piacimento. In realtà non proprio da sempre, bensì da quando sono entrate in uso “le mutande”: indumento intimo irrinunciabile, soprattutto per l’igiene e il benessere del corpo.
Nonostante l’utilità, nel corso dei secoli, l’uso delle mutande ha avuto alterne vicende.
I Romani non le utilizzavano e, per fare attività fisica, indossavano la “subligatula” (un pezzo di stoffa che passava tra le gambe ed era fissato alla vita da un legaccio); i Greci non si ponevano il problema di coprire le parti intime, anzi, in gioventù, amavano ostentarle e, solo da adulti, potevano utilizzare un perizoma. Le donne, sotto la tunica, erano completamente nude. Nel periodo Longobardo erano note come “femoralia” e venivano usate solo dagli uomini.
Secondo lo storico di costumi sessuali, Luciano Spadanuda, non si hanno notizie certe sulle tradizioni del Medioevo e, nel suo libro “Storia delle Mutande”, racconta che, solo nel 500, Caterina de’ Medici introdusse l’uso delle mutande, indispensabili per cavalcare senza offrire alla vista le parti intime delle signore. L’indumento, chiamato “briglie da culo” era stretto ed attillato, di cotone o di fustagno.
Sempre nel 500, le autorità veneziane imposero alle cortigiane l’uso delle braghesse, lunghe fino al ginocchio, per questioni igieniche e di decoro.
Ben presto la moda si diffuse negli ambienti nobiliari europei e le mutande divennero elementi di seduzione, ornate di ricami, merletti, pietre preziose e fili d’oro. Nell’ 800 entrarono nell’uso comune delle “signore bene”, cui era proibito nominarle e, tantomeno, mostrarle. All’epoca erano chiamate tubi della decenza.
Nel frattempo le prostitute le elessero a simbolo del loro mestiere, mostrandole attraverso spacchi delle gonne o addirittura tirando su e giù le vesti con un sistema di fili “sali-scendi”.
All’inizio del ‘900 si erano già diffuse anche tra le classi popolari ed era nata la prima moda infantile che prevedeva, per la bambine, graziose mutande bene in vista sotto le gonnelline corte.
La Chiesa assunse atteggiamenti contrastanti nei confronti di questo indumento: se da una parte lo riteneva un capo “libidinoso”, dall’altra imponeva agli artisti dell’epoca di coprire le nudità delle statue o dei dipinti (V. Michelangelo nel Giudizio Universale della Cappella Sistina).
Vari aneddoti si raccontano nell’uso e nella diffusione delle mutande. Si dice che nel dopoguerra, a Parigi, non tutte le ragazze si potevano permettere l’acquisto di questo “capo” e, nei locali da ballo, furono istituiti dei collettivi, banconi dove si prestavano a turno delle mutande per permettere alle donne di esibirsi senza problemi; negli anni 90 furono immessi sul mercato americano gli slip da mangiare (con vari gusti); nel 93 in Giappone fu varata una legge che impediva di vendere nei distributori automatici slip di studentesse (con relativa foto della proprietaria).
Oggi, in Giappone, si producono slip anti-peto, realizzati con tessuto poliuretano e nylon che accumula i gas in una tasca, ripulita in seguito con filtri ai carboni attivi.
La moda poi propone per gli uomini slip imbottiti davanti o boxer che ingrossano i fianchi o alzano il sedere.
Tanga, culotte, perizoma, slip, boxer, sospensorio sono ormai considerati indumenti indispensabili (soprattutto per le signore dopo l’avvento della minigonna) ed hanno assunto le forme e i colori che tutti conosciamo.
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::autore_::di Luisanna Tuti::/autore_:: ::cck::2324::/cck::