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Crimini contro donne e bambini da non dimenticare

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Ogni 14 luglio la Francia si ferma per la festa nazionale: sfila quel giorno sugli Champs Elysées il meglio delle truppe francesi. Ma ricordiamo anche i crimini bellici contro donne e bambini

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Ogni 14 luglio la Francia si ferma per la festa nazionale: sfila quel giorno sugli Champs Elysées il meglio delle truppe francesi.

Una scenario affascinante anche per chi non è francese, c’è solo una macchia nell’interminabile parata: la sfilata delle truppe coloniali, specialmente quelle marocchine, di cui, insieme agli altri corpi, vengono indicati i numerosi atti eroici in battaglia sotto il tricolore francese: peccato, però, che il telecronista non citi mai anche gli atti orribili e criminali che nulla hanno a che fare con la guerra, di cui si macchiò il corpo d’assalto, i goumier, soprattutto verso le popolazioni civili italiane del Centro Italia e della Toscana.

Una vergogna che ancora non ha trovato piena giustizia.

Ricordiamo che le truppe coloniali marocchine erano soldati d’eccellenza, agivano, infatti, con grande abilità su ogni terreno e in ogni frangente e dimostravano un coraggio fuori dal comune, la maggioranza era composta per lo più da marocchini con una minoranza algerina e senegalese.

Per queste caratteristiche furono arruolati, durante l’ultima guerra, prima nelle truppe filonaziste della repubblica di Vichy e poi, una volta arresisi agli americani sbarcati in nord Africa, vennero reclutati, come se nulla fosse, dal nascente esercito della Francia Libera.

Questi uomini formarono una divisione del Cef (il corpo di spedizione francese in Italia) al comando del generale Alphonse Juin, colpevole in prima persona delle violenze di cui parleremo, chiamate, appunto, marocchinate, che si svolsero durante l’avanzata dei francesi lungo lo Stivale nel 1943.

L’avanzata degli Alleati

I primi stupri e violenza sulla popolazione civile di questi cosiddetti soldati francesi iniziarono in Sicilia con lo sbarco presso Licata, al seguito delle forze anglo- americane, con circa 800 uomini che daranno quasi subito prova della loro vile brutalità in un piccolo paesino del messinese, Capizzi.

Qui, senza alcun motivo, come se ce ne fosse per lo stupro, violentarono decine di donne e, purtroppo, di bambini, elemento che, come vedremo, ricorrerà spesso nelle gesta di questi “eroi” francesi.

Peccato per loro che non avevano fatto i conti con i loro mariti e padri che reagirono uccidendone alcuni con la lupara ed i forconi.

Ma questa reazione popolare fu un caso isolato, per il resto, come vedremo in Ciociaria ed in Toscana, sarà solo uno scempio su povere donne inermi con i loro bambini senza quasi alcuna reazione.

Ciò che rattrista di questi eventi così drammatici è, almeno in parte, la sua rimozione storica. È difficile, infatti, trovare sui libri delle nostre scuole questa pagina vergognosa di storia recente, di cui esiste solo una limitata bibliografia dovuta all’impegno di volenterosi che non hanno voluto dimenticare questi avvenimenti, ma in Italia, come nel resto d’Europa, Francia in testa, sempre aperta alla democrazia e alla emancipazione femminile ci si è dimenticati totalmente di queste sventurate donne, ben 60mila solo quelle accertate dalle autorità militari.

A ricordare questi tragici fatti fu nel 1960 la capacità narrativa di Vittorio De Sica con il film “La Ciociara” preso da un racconto di Moravia, dove venne affrontata questa tragedia a distanza di quasi vent’anni, ma poi nulla, solo un vergognoso silenzio.

Le prime violenze e stupri

La storia di questi fatti si ebbe dopo la conquista di Cassino, nella provincia di Frosinone, cuore della Ciociaria, ed allo sfondamento della Linea di difesa tedesca, la Gustav, con la loro conseguente ritirata e migliaia di morti da ambedue le parti belligeranti.

Ben presto, in quei luoghi, alle truppe della Wehrmacht si sostituirono le truppe Alleate insieme ai soldati marocchini che, forti dei successi ottenuti durante le numerose battaglie, avevano pensato bene, con il silenzio/assenso dei loro comandanti, di dar sfogo ai propri istinti belluini sulla popolazione inerme dei piccoli paesi che incontravano.

Il pericolo di violenze era già conosciuto come venne evidenziato dai famosi manifesti di Gino Boccasile e voluti dalla propaganda fascista, che mettevano in guardia le popolazioni dalle truppe di colore Alleate.

Un aereo tedesco, ricorda lo storico ciociaro e partigiano, Bruno D’Epiro, aveva lanciato addirittura nella zona dei monti Aurunci volantini che invitavano le popolazioni ad abbandonare al più presto le proprie case per il rischio di brutalità.

Inizialmente si pensò che fosse solo propaganda di regime, ma i fatti, purtroppo, dimostrarono la verità di queste orrori.

Molti bambini, nonostante i disagi della guerra, furono portati in salvo a Rimini presso le colonie fasciste, ma il resto della popolazione, stanca di tre anni di guerra, ridotta alla fame, era ormai rassegnata “Tanto – pensavano – cosa possono farci di peggio di quello che già soffriamo”.

Ma le cose non andarono così e ben presto cominciò il triste rosario di violenze.

Uno dei primi centri colpiti da questa furia fu Ausonia dove furono violentate e poi uccise decine di donne insieme agli uomini che erano accorsi per difenderle.

Dai verbali dell’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra risulta che anche “due bambini di sei e nove anni subirono violenza”.

A Vallemaio due sorelle poco più che bambine furono violentate per giorni da questi soldati e poi ammazzate senza pietà, ad Esperia e a Polleca si toccò forse il livello più barbaro, come scrive lo scrittore Luciano Garibaldi. Nella prima cittadina vennero brutalizzate circa 700 donne insieme al parroco e lo stesso copione si ripeté a Polleca dove, insieme alle donne, anche molto anziane, furono violentate bambine e bambini di pochi anni.

Anche qui chi provò a ribellarsi subì la stessa sorte di brutalità, difficile perfino a descriverla, un triste repertorio che si ripeté in quasi tutti i paesi della zona.

Senza pietà neanche per i bambini

Nel silenzio, questo dramma proseguì ben oltre la guerra per queste povere donne.

Molte di loro che avevano subito violenza furono in seguito allontanate dalle proprie famiglie e dalle loro comunità per un senso di vergogna a causa della morale di quei tempi, altre furono contagiate dalla sifilide trasmettendola poi ai propri mariti, con le conseguenze sanitarie e morali che si possono facilmente comprendere.

Diverse ancora rimasero incinta, solo nell’orfanatrofio di Verolierano stipati oltre 400 bambini nati da quegli stupri, innocenti che subirono la dolorosa emarginazione sociale per colpa della loro pelle: di queste piccole vittime della guerra se ne contano almeno un migliaio. Infine, molte donne si suicidarono per la vergogna o finirono disperate ai margini della società.

Per verità storica dobbiamo dire che, anche se fu una minoranza, in molti di questi stupri parteciparono anche soldati francesi bianchi come nel paese di Pico, dove troviamo la cronaca di questi accadimenti nell’archivio Centrale dello Stato e dallo scrittore inglese, Eric Morris, che nel suo libro “La guerra inutile” scrive: “Vicino a Pico, gli uomini di un battaglione del 351° fanteria americana provarono a fermare gli stupri, ma il loro comandante di compagnia intervenne e dichiarò che “erano lì per combattere i tedeschi, non i goumier” tanto che: “Dato il coinvolgimento dei bianchi – scrivono Lucioli e Sabatini nel loro libro “La ciociara e le altre” – non presenti nei reparti goumier, si può affermare che i violentatori si annidavano in tutte e quattro le divisioni del Cef. Forse anche per questo, gli ufficiali francesi non risposero ad alcuna sollecitazione da parte delle vittime e assistettero impassibili all’operato dei loro uomini. Come riportano le testimonianze, quando i civili si presentavano a denunciare le violenze, gli ufficiali si stringevano nelle spalle e li liquidavano con un sorrisetto”.

Anche la Toscana fu terra di martirio

Le altre brutalità del Cef ricominciarono con l’arrivo degli Alleati in Toscana ed anche in questo caso, con la sicumera della loro impunibilità, portarono violenze anche a Siena, Radicofani, Murlo, Strove, Poggibonsi, Elsa, S. Quirico d’Orcia, Colle Val d’Elsa e ad Abbadia S. Salvatore dove, come testimoniò il partigiano comunista Enzo Nizza: “Contammo ben sessanta vittime di truci violenze, avvenute sotto gli occhi dei loro familiari. Una delle vittime fu la compagna Lidia, la nostra staffetta. Anche il compagno Paolo, avvicinato con una scusa, fu poi violentato da sette marocchini. I comandi francesi, alle nostre proteste, risposero che era tradizione delle loro truppe coloniali ricevere un simile premio dopo una difficile battaglia”.

Le responsabilità di queste violenze sono certamente da imputare innanzi tutto a questi uomini che indossando una divisa pensavano di poter fare ciò che volevano, ma una responsabilità morale anche più grave è da imputare, come in ogni esercito, alla catena di comando, non solo degli ufficiali e dei comandanti, primo fra tutti Alphonse Juin, divenuto in seguito addirittura maresciallo di Francia, ma anche di chi era allora il comandante in capo dell’esercito francese.

Scrive ancora Luciolinel suo libro: “Ma il principale responsabile della barbarie è da ricercarsi, per un principio di responsabilità gerarchica, nel comandante in capo di Francia libera, Charles De Gaulle, che – è provato – durante il culmine delle violenze, si trovava, insieme al suo Ministro della Guerra André Diethelm, proprio a Polleca presso il casolare del barone Rosselli, eletto a quartier generale avanzato del Cef. Vi sono fotografie inoppugnabili e anche un suo discorso che tenne, in loco, in quei giorni. Le violenze accadevano, quindi, sotto ai suoi occhi”.

Probabilmente, anche per questo motivo i tragici accadimenti verso queste povere vittime non trovarono mai una vera giustizia sia da parte francese e, bisogna dirlo, purtroppo anche da parte dei governi italiani.

Forse, sarebbe utile tra le tante giornate del ricordo, celebrare anche questa tragedia che riguardò soprattutto le donne e che rimane parte indissolubile della nostra Storia.

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::autore_::di Antonello Cannarozzo::/autore_:: ::cck::2534::/cck::

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