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Dal punto di vista semantico e grammaticale, l’origine della parola melina sembra derivare dal gioco della melina che discende pur con qualche incertezza dall’espressione dialettale bolognese zug dla mléina, appunto gioco della melina.
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E’ difficile dare una definizione compiuta e certa del termine scelto questa settimana. Ma è altrettanto chiaro il senso che questa parola e le accezioni nella quale viene impiegata assumono. Come a dire che l’incertezza d’origine, la scarsità di elementi di riferimento, vedono prevalere l’uso nel linguaggio e questo viene a dare consistenza al vocabolo.
Dal punto di vista semantico e grammaticale, melina è un sostantivo femminile la cui origini, ancorché incerta sembra tuttavia derivare dal cosiddetto gioco della melina che discende pur con qualche incertezza dall’espressione dialettale bolognese zug dla mléina, appunto gioco della melina. Un tipo di passatempo in uso in epoche passate e diffuso anche altrove. In tutti i casi il significato più accettato è quello che consiste nel passarsi un cappello lanciandolo sopra la testa del suo proprietario, con il chiaro intento di impedirgli di tornarne in possesso. Di qui si parla di melina nella pallacanestro, dove sta a significare cercare di trattenere la palla, a scopo ostruzionistico, al limite dei modi e dei tempi consentiti dal regolamento.
Dal cappello alla palla da basket, la locuzione. è passata quindi in altri giochi (come ad esempio il calcio, la pallanuoto) è sta ad a indicare la serie di azioni costituita da passaggi continui e sterili tra compagni per guadagnare tempo allo scopo di salvaguardare il punteggio favorevole acquisito o tirarla per le lunghe in attesa della scadenza dei tempi regolamentari.
Per estensione, nel linguaggio comune, l’espressione ha poi assunto il significato di «mettere tempo in mezzo, tirare in lungo una situazione, anche con intenti ostruzionistici». O ancora, in senso figurato, il fare melina indica proprio il mettere tempo in mezzo, o ancora il cincischiare, l’esitare, oppure con minor efficacia nicchiare, tergiversare, titubare, traccheggiare. Tutti atteggiamenti che denotano difficoltà o impossibilità di decisione e l’intento di far decantare o semplificare qualcosa che non si sa come affrontare.
E’ proprio in questa accezione che applichiamo la melina, il fare melina, anche alla nostra quotidianità politica. E’ infatti indubitabile e si avverte con una semplice occhiata metaforica che la nostra politica, dopo le elezioni dello scorso marzo, abbia imboccato decisamente una via tipicamente dedicata al girare intorno, al misurarsi da lontano, a lanciare strali per vedere l’effetto che fa e via traccheggiando.
Si può anzi sottolineare come il virtuosismo della politica abbia ormai surclassato l’originario significato sportivo o d’uso comune per affermare con forza che la melina politica è la vera melina. Con la non secondaria differenza che nel gioco al massimo si arriva a una vittoria o a una sconfitta o ad un pareggio, mentre nel confronto politico e nella necessità di trovare soluzione alla crisi, sono “in gioco” i destini del paese, la sua stabilità, la sua attendibilità internazionale e prima ancora il suo stesso ruolo nel consesso europeo e in quello mondiale.
Che la melina comincia a provocare qualche perplessità e preoccupazione è apparso chiaro nelle indicazioni venute a più riprese in queste settimane dai commissari europei, alla ricerca di un senso a quel che accade e alle ricadute che potrebbe avere sul cammino futuro del paese e sul posto da occupare in seno alle istituzioni comuni.
E’ proprio in questo ambito che la melina appare sublimata, con affermazioni di governo, di responsabilità da parte dei leader e allo stesso tempo ritorni alle parole d’ordine originarie sull’Europa, sull’economia e via dicendo. Nessuno allo stato può dire con cognizione di causa che tipo di Italia e di governo possano germinare dalle consultazioni per ora infruttuose alle quali il capo dello Stato guarda con evidente distacco non privo di perplessità stante l’assenza di un senso delle istituzioni e dello Stato nell’atteggiarsi di leader ed esponenti. Siamo alle dichiarazioni in libertà non certo prive di ostracismi, di distinguo, di incompatibilità. Siamo però immancabilmente e drammaticamente alla melina pura e semplice.
Una condizione che del resto è figlia diretta del risultato elettorale dove nessuno può governare da solo e al tempo stesso avanzare primazie che si scontrano con l’assenza di accordi su possibili maggioranze. A questo partiti e movimenti aggiungono del loro cercando di far melina alla ricerca della crisi altrui, della spaccatura nel fronte o nei fronti opposti.
In sostanza non avendo ben chiaro che cosa realmente proporre al paese, atteso che molte promesse elettorali sono purtroppo o per fortuna destinate al bagno di sangue della compatibilità di bilancio e alle rigidità internazionali non così semplici da dribblare, ci si esercita nell’arte del rimando, del rinvio, del gioco in tondo, in attesa di qualcosa che dovrebbe accadere per risolvere il rebus. Nessuno a o vuole sapere che cosa sia, ma tutti agiscono come se ne fossero alla ricerca. E, insieme, si esercitano nel far le pulci agli altri, nell’evidenziare criticità, nell’immaginare spaccature ovviamente nell’ottica di parte facendo le novene per questo e appunto esercitandosi in quella melina ormai matura che sembra accomunare sia coloro che vengono dalla politica di ieri, sia incredibilmente anche quanti si affacciano con un piglio e un atteggiamento che sembrerebbero nuovi.
Cambiano i partiti, cambiano i parlamenti, cambiano i leader, ma quello al quale si assiste è sempre lo scenario – o esistono forti rischi in tal senso – descritto da Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo nella mirabile e dissacrante espressione: “che tutto cambi perché nulla cambi”!
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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::2576::/cck::