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La strage di Gaza e l’inaugurazione dell’ambasciata USA a Gerusalemme sta determinando un vero sconquasso diplomatico nella regione
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C’e’ chi l’ha definita una prigione a cielo aperto, come l’ex Primo Ministro inglese David Cameron, c’è chi la chiama Hamastan, “la terra di Hamas”, come buona parte dell’opinione pubblica israeliana, c’e’ chi la rivendica nella propria sfera d’influenza, come l’Egitto. Fatto sta che la cosiddetta Striscia di Gaza, dalla fine del mandato britannico nel 1948, e’ un territorio a se’ stante, incuneato tra la penisola del Sinai ed Israele e bagnato per un centinaio di chilometri dal Mar Mediterraneo.
I problemi della Striscia pero’ non sono di carattere geografico ma di ordine politico e soprattutto demografico. Questa importante entità dello Stato di Palestina e’ governata dal 2007 da Hamas, il gruppo irredentista palestinese da sempre costola della “famiglia della Fratellanza Musulmana” avversario della leadership dell’ANP con sede a Ramallah, in Cisgiordania.
Uno status che di fatto la rende una polveriera pronta ad esplodere, come e’ recentemente successo in occasione del trasferimento della sede della rappresentanza diplomatica statunitense in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme lo scorso 14 maggio. In quel giorno di fuoco infatti, migliaia di persone, per la maggior parte ragazzi, visto che meta’ dei quasi due milioni di abitanti della Striscia ha meno di 30 anni, si e’ scagliata contro le reti di protezione che la dividono da Israele, determinando la reazione dei militari della Stella di Davide che hanno sparato ad altezza d’uomo lasciando sul terreno oltre 60 manifestanti, tra i quali anche una bambina di 8 mesi intossicata dai gas lacrimogeni. Una provocazione per il governo Netanyhau, che per giustificare la reazione del suo esercito, ha parlato di grave violazione alla sicurezza dei propri confini nazionali, visto peraltro che Hamas e’ considerato un gruppo terroristico dalla comunità internazionale.
La strage di Gaza e l’inaugurazione dell’ambasciata USA a Gerusalemme sta determinando un vero sconquasso diplomatico nella regione. Come c’era da aspettarsi, in questo contesto geopolitico, la reazione più veemente e’ arrivata dal Presidente turco Recep Tayyp Erdogan che ha sospeso le relazioni diplomatiche con lo Stato sionista, richiamando in patria il proprio ambasciatore e chiedendo che Israele venga portato davanti alla Corte Penale Internazionale per i diritti umani per rispondere del proprio comportamento. Una linea non condivisa pero’ dalla Lega Araba che per ora si e’ limitata a condannare le violenze del 14 maggio auspicando che venga istituita una commissione d’inchiesta indipendente che indaghi sui recenti fatti di Gaza. Una posizione condivisa anche dalle Nazioni Unite, il cui Consiglio per i Diritti Umani ha votato a maggioranza una risoluzione che auspica che si faccia luce al più presto sulla vicenda.
Più sfumata, ma forse destinata ad essere maggiormente efficace, la “diplomazia sotterranea” intrapresa dal Presidente egiziano Nabil Fattah al-Sisi. Il leader del Cairo ha proposto una tregua, in arabo hudna, con il consenso dei capi di Hamas che controllano la Striscia e l’aiuto economico di alcuni paesi arabi, a cominciare dal Qatar, che possano mettere a disposizioni fondi che migliorino le condizioni di vita degli abitanti di Gaza, stemperando così anche le tensioni politiche. Per mettere a punto questa strategia il Generale ha invitato al Cairo, nei giorni immediatamente successivi alla strage del 14 maggio, il capo di Hamas Yahya Sinwar ammonendolo della capacita’ di Israele di intraprende azioni mirate contro i leader del movimento islamico e dandogli garanzie riguardo al ricovero dei feriti più gravi negli ospedali egiziani. Al contempo al-Sisi si sarebbe impegnato anche nel potenziare gli indispensabili rifornimenti di beni di prima necessità attraverso i tunnel che collegano Gaza all’Egitto in corrispondenza del valico di Rafah, da sempre indispensabile linea di approvvigionamento per gli abitanti della Striscia.
Una soluzione che avrebbe avuto anche il via libera di Tel Aviv, consapevole del fatto che se la leadership di Hamas dovesse saltare, il suo posto verrebbe preso non dall’ala moderata e pragmatica dei politici di Gaza ma dai gruppi salafiti vicini all’ISIS, con l’inevitabile peggioramento di una situazione già degradata.
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::autore_::di Diego Grazioli::/autore_:: ::cck::2640::/cck::