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Tra poco più di una settimana sapremo se la Turchia continuerà nella sua deriva autoritaria islamista oppure tornerà ad essere il paese aperto e laico che è sempre stato dai tempi di Ataturk.
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Manca poco. Tra poco più di una settimana sapremo se la Turchia continuerà nella sua deriva autoritaria islamista oppure tornerà ad essere il paese aperto e laico che è sempre stato dai tempi di Ataturk.
La posta in gioco è altissima, in queste elezioni indette dal Presidente Erdogan domenica 24 giugno, quando i cittadini turchi saranno chiamati ad esprimere il nuovo parlamento ed il Presidente della Repubblica. Una tornata elettorale di fondamentale importanza, a cui il Sultano di Ankara ha dato il via libera su pressione del partito di centro-destra MHP, nonostante il suo mandato scadesse nel 2019.
Una prova di forza o meglio un referendum sulla sua persona e la sua linea politica che, dal tentato golpe di due anni fa, ha fatto sprofondare il gigante anatolico in una crisi economica e politica, dove quotidianamente vengono calpestati i diritti di milioni di persone: minoranze etniche ed oppositori della linea dettata dall’AKP, il partito del Presidente.
La partita si giocherà soprattutto sul rilancio dell’economia del paese che, dopo oltre 15 anni di crescita, nell’ultimo anno ha visto un forte rallentamento, con il tasso d’inflazione schizzato oltre il 10% ed il crollo della lira turca, ai minimi storici sia rispetto al dollaro che all’euro. Un deprezzamento della moneta che ha costretto la Banca Centrale ad aumentare i tassi di interesse come auspicato dagli investitori internazionali.
Ma è dal fronte politico che arrivano le maggiori preoccupazioni per Erdogan e la sua maggioranza di governo. Gli ultimi sondaggi infatti sembrano premiare la nuova formazione Buon Partito-IYI della lady di ferro turca Meral Aksener, ex ministro degli interni che, dopo essere uscita dal movimento MHP, ha coalizzato intorno alla propria figura quella parte dell’opinione pubblica laica e di destra, da sempre vicina alla visione del paese del fondatore della Repubblica Kemal Ataturk.
Sarà il risultato del suo partito a determinare il vero esito del voto, perché se dovesse superare l’altissima soglia di sbarramento prevista dalla Costituzione turca, cioè il 10%, non consentirà al Presidente ed ai suoi alleati di avere la maggioranza assoluta in parlamento, elemento essenziale per le riforme desiderate dall’uomo forte di Ankara che si possono tradurre in un’accelerazione del percorso di islamizzazione del paese. Aksener può contare dalla sua sul consenso di una vasta parte dell’opinione pubblica femminile, spaventata dalla compressione dei diritti intrapresa da Erdogan.
L’altro ago della bilancia invece è rappresentato dal leader curdo Selahattin Demirtas, leader del partito democratico dei popoli HDP, in prigione da oltre un anno, ma determinato a sfidare fino in fondo il Sultano, nonostante sul suo capo pendano accuse di favoreggiamento al PKK, il partito dei lavoratori del Kurdistan, illegale in Turchia, che lo potrebbero portare a scontare oltre 120 anni di carcere.
Il “Mandela curdo”, come è chiamato dai suoi sostenitori, è considerato il punto di riferimento politico della Turchia laica e liberale, particolarmente forte nelle grandi città dell’occidente del paese come Istanbul, Smirne e Bursa. Se la sua formazione dovesse superare la soglia di sbarramento, allora le cose per Erdogan si metterebbero veramente male, perché significherebbe uno stop definitivo alla sua linea di revisione islamista del paese con tutte le conseguenze del caso. Ancora pochi giorni e vedremo come andrà questa partita di storica importanza non solo per la Turchia ma anche per l’Europa e per il Mediterraneo Orientale.
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::autore_::di Diego Grazioli::/autore_:: ::cck::2676::/cck::