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Dall'Archivio storico della Camera dei deputati

Assistiamo da anni al crescere di una insofferenza ai limiti dell’intolleranza nei meccanismi sociali e poi politici.

“Controllare ed equilibrare”, questa la traduzione letterale del sistema istituzionale di “controlli e contrappesi” che caratterizza i rapporti fra i vari poteri dello stato negli ordinamenti democratici. Un prestito che ci viene dalla prassi anglosassone e statunitense nelle quali, in regime di common law, tali elementi vengono considerati ineliminabili ancorché codificati soltanto in modo generico e non istituzionalizzati. Nella nostra realtà italiana ed europea di costituzione più rigida e di “normativizzazione” (termine orribile ma scultoreo) imperante di strumenti di tal fatta in teoria ve ne sono anche troppi, soltanto che sovente hanno funzionato più nel senso di paralisi totale che di aiuto al funzionamento complessivo.

Parlare di un tema così apparentemente concettuale è tutt’altro che incoerente con la attuale situazione del nostro paese e più in generale nella stessa Europa comune. Assistiamo da anni al crescere di una insofferenza ai limiti dell’intolleranza nei meccanismi sociali e poi politici. Ad una divisione che non potendo più essere ideologica in senso novecentesco è tuttavia verticale e strutturale all’intera società. Ci si scontra, ci si etichetta, ci si divide, ci si demonizza, senza ormai sapere più in nome di quale disegno. A prevalere sono parole d’ordine semplici che vellicano la pancia e non fanno funzionare la mente. E questo in una fase calante di ricchezza materiale innesca una miscela esplosiva. Di qui la reattività contro chi arriva nei nostri territori, l’attribuire a chi arriva l’origine dei nostri mali che fa il paio con il caricare sulla moneta unica responsabilità che sono di sistema certo, ma del nostro sistema dove il debito pubblico fuori controllo sta erodendo e mangiando il risparmio e il valore che le generazioni passate ci hanno lasciato. E, invece di pensare ad affrontarlo questo problema, si parla di politiche espansive in senso sociale, in direzione di quella decrescita felice teorizzata dal guru Grillo, dove a prevalere sarà uno statalismo pericolosamente simile all’autarchia del ventennio o ai razionamenti sovietici. Estremi dai quali dovremmo sempre tenerci lontani.

A questa atmosfera si aggiunge l’eclissi politica di quelle che una volta (tante repubbliche fa) si definivano opposizioni. Una situazione che nasce da più origini. E’ infatti evidente che il sostanziale congelamento istituzionale avvenuto poco più di vent’anni fa per arginare supposti pericoli populisti non abbia funzionato e che la miopia di allora ha fatto esplodere proprio questi ultimi. Il varco aperto viene ora superato da forze antisistema tout court (nel senso che voglio crearne uno diverso) che nel tentativo di legittimarsi oltre il voto hanno cominciato ad attaccare per smantellare quello che la politica aveva sino ad ora prodotto e che nel caso della Lega è anche servito per amministrare comuni e regioni. Per i cinquestelle un varco in cui adagiarsi comodamente in nome delle parole d’ordine di sempre con un obiettivo che sembra preferenziale: attaccare e distruggere l’informazione per irregimentarla nel nuovo universo mentale incentrato sulla rete e su chi pretende di dettarvi legge in modo diretto ma anche occulto e dissimulato.

Il rischio di assenza di opposizione è anche un rischio per chi oggi governa e del quale dovrebbe occuparsi e preoccuparsi. In primis lo è però per coloro che questa opposizione dovrebbero incarnare. E qui casca l’asino per così dire! Se infatti per Forza Italia e moderati il problema non è stagliarsi all’opposizione ma sopravvivere alla forza di gravità della Lega salviniana pigliatutto manifestando un baricentro a contrappeso, il vero dilemma riguarda la sinistra e il Pd. Quell’area che dall’inizio degli anni novanta dello scorso secolo ha letteralmente occupato e governato le istituzioni facendo fallire ogni discorso alternativo e che ha ritenuto di non avere più nemici dopo aver abbattuto l’arcinemico, si ritrova oggi cacciata all’opposizione e guardata come responsabile del regime e dello sfascio al quale siamo arrivati. Quale risposta a questo pericolo: per ora penosamente silenzio, analisi intellettualoidi sugli avversari senza capire però il perché del loro successo politico (molte delle ragione sono in re ipsa verrebbe da dire, cioè guardatevi l’ombelico!)

Tornando allora all’assunto iniziale, viene da constatare che il sistema dei pesi e dei contrappesi nel nostro orizzonte sia completamente assente, saltato in aria in nome dei vaffa e di parole d’ordine tanto semplici e avvolgenti quanto vuote di contenuto se riferite ad un orizzonte di medio-lungo periodo: sostegno ai più svantaggiati, taglio a chi ha di più, intervento dello stato in ogni campo economico e sociale, aumento dell’indebitamento come risultato di quanto prima.

Quanto sarà possibile mantenere queste premesse/promesse nel tempo, una volta spolpato quanto c’è da spolpare e con un debito esploso ancor più e che ci vedrà quali paria nell’Unione Europea (e si tenga presente che i primi a stigmatizzare la solita Italia saranno proprio i sovranisti dell’est e del nord che adesso sembrano amici per la pelle e compagnucci della parrocchietta!)? Difficile rispondere. E con un’economia che non riesce a decollare e per la quale i provvedimenti sociali ancorché ben visti dalla gente rischiano di divenire la zavorra definitiva su ogni ipotesi di rilancio e crescita! E’ da sperare che i nuovi governanti avvertano il senso del limite e del confine oltre il quale non spingersi e che l’opposizione dia segni di vita chiari, coerenti e non di semplice revanscismo. Altrimenti il danno sarà eguale per tutti e aprirà ulteriori stagioni di irrazionalità, pressappochismo e avventurismo!

 di Roberto Mostarda

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